capitolo trentadue.Anche se dovrei sentirmi totalmente al sicuro in questo posto, chiusa in queste quattro mura, la realtà è che sto morendo dalla voglia di scappare. Lo sguardo severo dello psichiatra del ragazzo che in questo momento sta attendendo dietro la porta mi penetra come se non fossi un'umana. Sembra voglia scuoiarmi viva. Lascio che la mia mano porti una ciocca di capelli dietro l'orecchio, guardando di tanto in tanto l'uomo senza dar peso al cuore che tenta di scavalcare la cassa toracica. Trattiene per qualche istante il respiro, facendomi compiere il medesimo gesto.
Quest'uomo ha l'innata capacità di farti sentire inadeguata con un solo sguardo.
Cerca di sorridermi, probabilmente ha intuito e percepito la tensione che si sta andando a creare, così come ha notato il mio corpo contorcersi dai movimenti sconnessi e nervosi. Così, sorride.Stiracchia debolmente le braccia, tenendole verso di me. Fisso ogni suo movimento come se potesse attaccarmi da un momento all'altro. Non so per quale motivo, ma sono sicura che farà di tutto per distruggere le mie speranze, insieme a quelle di Hero. Glie lo si legge negli occhi.
«Allora, Josephine... Da quanto tempo conosci Hero?» domanda in modo neutrale, facendomi alzare un sopracciglio.
I suoi successivi movimenti risultano lenti e composti, seguiti da pochi e saettanti sguardi nella mia direzione. Sembra voglia scoprire il più cose possibili sulla nostra amicizia, sul modo in cui ci frequentiamo. La vera domanda è, perché è così interessato a ciò che ho da raccontare io?Prendo un respiro profondo, decidendo di rispondere a tutte le sue domande. In fondo, posso cavarmela. Non ho intenzione di farmi sminuire ulteriormente da lui, nonostante non riesca ancora a capire su cosa voglia andare a parare.
«Uhm, in pratica da tutta la vita. Siamo cresciuti insieme» rispondo in modo pacato, cercando di rimanere su un argomento vago.
Non voglio donargli tutte le nostre informazioni così, senza sapere il reale motivo per cui le voglia conoscere.Il dottore sembra accennare un piccolo sorriso mentre mi scruta nuovamente come se volesse estrapolare informazioni dai movimenti del mio corpo.
Fottuti dottori. Capiscono tutto con un semplice gesto.
Senza molto impegno, prende la penna appoggiata alla scrivania e spalanca successivamente il fascicolo appartenete a Hero. Lancio una veloce occhiata alla prima pagina in cui viene raffigurata una foto del ragazzo di qualche anno fa. Santo Cielo.
Sento come se i miei occhi si stessero riempendo di lacrime, ma non voglio lasciarle uscire. Non ora. Non così.
Sposto lo sguardo da quella foto, incapace di guardare ulteriormente il modo in cui era riuscito a ridursi.
I capelli rasati a zero, gli occhi contornati da spesse linee blu della stessa tonalità delle sue labbra. Molteplici segni di bruciatura sul viso, tagli, ustioni, lividi.
Strizzo gli occhi e li riapro velocemente, nello stesso istante in cui il signor Fielmann smette di scrivere sul foglio relativi agli incontri.«E, dimmi, com'era da bambino?» mi domanda in modo professionale, lasciando unire le mani davanti al suo viso.
Socchiudo le labbra, sorpresa dalla sua richiesta totalmente inaspettata. L'uomo scuote leggermente la testa, passandosi successivamente le mani tra i capelli grigi.
«Ho bisogno di sapere com'era esattamente prima che i sintomi cominciassero a manifestarsi. I suoi genitori mi hanno già dato alcune informazioni importanti, ma averne da te potrebbe essere molto più d'aiuto» annuncia tranquillamente.Mi ritrovo ad annuire in modo distratto, troppo impegnata a ricordare i momenti trascorsi con Hero quando eravamo piccoli.
Era così spensierato e allegro, in quegli anni. Una piccola peste, un combina guai. Aveva sempre nuove idee per mettere nei guai sé stesso e me, la sua fidata assistente. Riusciva a creare un gioco avvincente grazie a qualsiasi oggetto trovasse. Aveva sempre voglia di nuove avventure e mi trascinava in tutte quante. Metteva allegria. Odiava fare i compiti, di qualsiasi materia. Cercava sempre di farmi saltare scuola per trascorrere la mattinata al lago, al ruscello, al parco, in qualsiasi altro posto che non fosse l'edificio scolastico. Odiava profondamente i maestri e i professori, così come tutti i suoi compagni. Cercava di passare il più tempo possibile solo con me. Si fidava ciecamente. Riponeva in me una spalla su cui piangere, la più fidata amica, finché tutto non è cambiato.Il dottore mi guarda in modo sorpreso e perplesso, mentre dai miei occhi scendono innumerevoli e amare lacrime. Non pensavo che parlarne sarebbe stato così difficile, ma allo stesso tempo liberatorio. Riesco quasi a sentire il peso che prima pendeva sul mio corpo affievolirsi. Fielmann appoggia i gomiti sulla superficie della scrivania, fissandomi a lungo in un religioso silenzio, finché non viene spezzato da un suo sospiro.
«Josephine... Capisco quello che stai provando, e sento anche la tua innata voglia di aiutarlo. Se devo essere sincero, però, tu non puoi farlo. Non ne sei in grado. Non solo perché non sei un dottore e non hai studiato queste malattie, ma soprattutto perché una patologia come la sua non è facile da far estinguere...» annuncia con una freddezza tale da farmi rabbrividire.Lo guardo per qualche istante. Annuisco. Cosa devo fare? Vorrei parlare, insultarlo e smentire tutto ciò che lui ha detto. Io so che posso fare qualcosa per lui, non sarà di certo un dottore ad impedirmi di farlo. Nonostante ciò, rimango in silenzio. Chiude il fascicolo del ragazzo, alzando nuovamente gli occhi verso di me. Probabilmente sta aspettando una reazione da parte mia che, per sua sfortuna, non avrà mai. Non ho intenzione di mostrargli le mie emozioni, tantomeno quelle collegate ad Hero. Non saprà di più.
In preda ad un attacco di nervosismo, prendo velocemente la borsa e la isso sulla spalla, alzandomi dalla poltrona di conseguenza. Compio due passi verso la porta prima di fermarmi in mezzo alla stanza, girandomi nuovamente verso il dottore che mi guarda interessato.
«Posso... C—Che cos'ha Hero?» domando in modo insicuro, con un filo di voce.Ne esce un bisbiglio, ma sono sicura che il dottore abbia sentito non appena spalanca gli occhi e la penna crolla dalle sue mani, ferme a mezz'aria. L'atmosfera si fa ancora più pesante quando sospira in modo affranto.
«Non te lo ha detto?» domanda di conseguenza, fissandomi in modo malinconico mentre mi limito a scuotere la testa. Prende un respiro profondo, chiude gli occhi.Esco dalla porta non appena dalle labbra del dottore esce una singola parola che riesce a sgretolare ogni singolo centimetro del mio mondo. La richiudo, alzando gli occhi per cercare nella sala d'aspetto quelli di Hero, che non tardo a trovare. È seduto, sembra tranquillo. Mi sorride dolcemente, io non riesco a ricambiare con tutta la dolcezza che utilizza lui. Cerco di asciugarmi le lacrime che ancora scendono dai miei occhi mentre compio dei piccoli passi che verso di lui, il cuore che batte velocemente.
Borderline.
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Words
Novela Juvenil❝ Lontano da te anche il cielo più nitido è un po' sporco, e l'erba più morbida un poco punge e graffia, e ogni cosa sembra fuori dalla sua aurea misura. - Fabrizio Caramagna. ❞ Le mancanze si sentono in qualsiasi momento, qualsiasi cosa si stia fac...