16.

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Seguiamo Tiziana giù per le scale.
«Non potevi inventarti qualche balla?», bisbiglio a Cri.
«Mi è stato impossibile. Penso che l'unico che riesca a dire no a questa donna, sia suo figlio. Tanto cosa ci può aspettare? Uncinetto? Punto a croce?»
Arriviamo nella veranda del giardino sul retro. C'è un tavolo abbastanza grande su cui sono cosparsi confetti, fil di ferro, candele, fiori finti e tante altre cose.
«Ma che razza di club è questo?!», esclama Cri.
«Il club delle palme di confetti!», risponde Tiziana.
«Ma ovvio!», dico ironica.
La mamma di Dario ci presenta la vecchina e le sue compagne. Ben presto prendiamo posto in mezzo a loro.
Qualcosa mi vibra nella tasca dei pantaloni.
Ah già, il mio cellulare. Quasi dimenticavo di averne uno.
Lo sblocco e mi ritrovo un messaggio su Whatsapp da un numero non salvato in rubrica.
Apro e leggo.
"Stavo pensando a quello che mi hai detto. Esiste, quindi, un noi?"
Non mi serve cliccare sulla foto per capire chi sia. Non che ci fossero tutte queste alternative.
"Pensavo di essere stata chiara. Non adesso."
"Mi è vietato anche per chat?"
"Stop."
«Signorinella, sto cercando di spiegarti come si fa.», mi riprende una delle anziane.
Metto via il telefono, scusandomi.
All'improvviso ho in mente di fare una cosa. Non so perché.
Forse per ricambiare le certezze ricevute.
Non so.
Lo voglio fare e basta.
In modo furtivo, riprendo a scrivere.
"E comunque Nicolas non è più un tuo problema."
Lo lascio sul tavolo.
Due spunte blu.
Spengo il cellulare.

Dopo vari fil di ferro piegati, confetti rotti, la giornata passa. Abbiamo solo staccato per pranzo dove abbiamo visto Dario per dei minuti, poi niente.
Al tramontare del sole Cristina può sfoggiare più di una decina di palme. Anche in questo caso non è riuscita a trattenere la sua vena artistica, a differenza di me che sono stata capace a stento di avvolgere della carta attorno ai fili.
Distrutta, chiedo di potermi ritirare in camera senza cenare. Sono un sacco stanca. Credo di aver superato i limiti di sopportazione del mio cervello.
Mentre mi sto sistemando, Dario passa nel corridoio. Notandomi, torna indietro e si appoggia allo stipite della porta con una spalla.
«Mi spieghi che cosa significa?», chiede alzando il cellulare.
«Ti basta sapere che è la verità, nient'altro.»
«Che testarda che sei.», dice allontanandosi.

La festa è prevista per il sabato sera.
Già da molto presto in tanti si sono impegnati ad addobbare il giardino e a sistemare tutto il necessario. E anche io e Cristina ci stiamo occupando di noi stesse.
La porta viene aperta.
«Ragazze... È sorto un problema.»
«Devi toglierti sto vizio, però. La porta esiste per un motivo», dico.
«Scusatemi ma è davvero una cosa urgente.»
La sua espressione è allarmante.
«Oddio, Dario, qualcosa di grave? Non ci far preoccupare.», dice Cri, portando una mano al petto.
«Dipende dai punti di vista.», si mette le mani in tasca e punta gli occhi a terra, «Stasera verranno dei miei cuginetti e qualche figlio di altri invitati... I ragazzi che avevamo ingaggiato hanno avuto un intoppo...»
Il suo respiro si fa pesante.
Cristina, terrorizzata, gli appoggia una mano sulla spalla.
«Non starai per dire sul serio...»
Annuisce.
«Siamo gli unici che possiamo farlo.»
Cristina caccia un gridolino e inizia respirare affannosamente.
«Anni?», azzardo chiedere.
Dario stringe gli occhi.
«Tra i 5 e gli 8 anni.»
Cri si sventola con una mano e inizia a dire solo 'no'.
«Non è nie-»
«Sono andata via di casa, devo convivere e sopravvivere con i ragazzi più stupidi della terra, ho i nervi sempre tesi perché non so mai cosa ti possa capitare e adesso? Costretta a sorvegliare anche quattro mocciosetti?»
Continuando a dire 'no' va a chiudersi in bagno.
«Lasciamola metabolizzare.», dico.

«Sparatemi.», mi ritrovo a dire più tardi.
Le urla sovrastano per sino i nostri pensieri. Cristina è seduta a guardare il vuoto e sembra che a momenti possa scoppiare a piangere. Un paio di bimbe le girano attorno e qualcuna giocherella anche con i suoi ricci.
«Dove è finito quello stronzo? Lo devo ammazzare con le mie stesse mani.»
«Chi è stronzo?», chiede una bimba.
«Ma no, piccola.», dico prendendola sulle gambe, «Ha detto... Bronzo! Non si dicono le parolacce qui.»
Fulmino Cristina.
«Non mi interessa! Trovamelo. Ora.»
Effettivamente manca da un bel po'.
Inizio a girare tra i tavoli e per le varie stanze della casa. Vado da sua mamma.
«Scusa, Tiziana, sai che fine ha fatto tuo figlio?»
«Vi ha mollate?», chiede scioccata.
«Non ti saprei dire. La cosa certa è che non lo trovo da nessuna parte.»
Sospira alzando gli occhi al cielo.
«So perfettamente dove trovarlo. Seguimi.»
Mi porta in un luogo non molto distante, sempre nel giardino.
«Lo trovi lì.»
Mi indica un albero.
«Nel tronco??»
Scoppia a ridere. Mi alza per il mento e mi fa guardare in alto.
«Oh.»
Una struttura in legno si fa spazio tra i rami. Una casetta sull'albero.
«L'ha costruita insieme al nonno. Ci hanno messo pomeriggi interi.», dice lei, prima che potessi chiedere.
«Ti lascio salire. È inutile chiamarlo, lo conosco troppo bene.»
Raggiunge nuovamente la festa.
Faccio il giro dell'albero e trovo una scaletta in ferro. Sembra essere resistente. Mi arrampico e raggiungo la pedana di appoggio. Lo noto appena faccio capolino.
«Mi vieni a dare una mano?»
Si gira di scatto e si alza a soccorrermi.
«Come sei arrivata qui?»
Mi tira per le mani e mi issa su.
«Puoi sfuggire a noi ma non a tua madre.», dico divertita.
Sorride anche lui.
«Che spiona.»
Torna a sedersi e faccio lo stesso.
«Possiamo evitare di perdere tempo? Cristina è super infuriata, non resisterà ancora per molto.»
«No, Ale, non ce la faccio.»
«Le festa è quasi finita. Sono solo dei bambini.»
«Non ce la faccio per la situazione!»
Mi ammutolisco.
«Non riesco a stare nel tuo stesso posto e fare finta di niente. Non riesco a non guardarti in quei tuoi splendidi occhi. Non riesco a non pensare che per me sei tutt'altro che una paziente, un'amica. Non riesco.»
«Dario...»
Si fionda in modo deciso e mi ritrovo le sue labbra sulle mie. Dura poco ma riesce ad essere abbastanza intenso. Mi guarda come se chiedesse il permesso per continuare. Sto per afferrarlo per la nuca ma delle strilla ci richiamano alla realtà.
"Vogliamo Dario! Vogliamo Dario!"
È un coro di bambini. Ci affacciamo dalla finestrella.
Tra di loro c'è anche Cristina che li incita ad urlare più forte.
«Potete chiudervi nel nido in un momento migliore?», urla.
Scendiamo e i bambini lo trascinano subito via.
«Ti ho detto di andarlo a cercare, no di appartarvi.», mi rimprovera lei.
Senza dire nulla, vado dietro i bambini.
Dopo qualche minuto, ogni genitore inizia a recuperare il proprio figlio.
«Amore, ti sei divertita?», chiede un papà mentre prende la bimba in braccio.
«Sì, papà. Lo sai che c'è uno stronzo?»
Lui guarda allibito lei e poi Dario.
A sua volta, si gira meravigliato verso di noi.
«Questa me la spiegate dopo.»

Like on a roller coaster // Space ValleyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora