capitolo 8

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«EDDAI COGLIONE!»
urlò Francesco lanciando il controller contro il pavimento, mentre la malsana risata di Cesare risuonava nelle cuffie da gaming del biondo.
«SEI UN PEZZO DI MERDA».
Cesare amava prendere per il culo l'amico, forse l'unico con cui aveva ancora contatti stretti dopo la chiusura di space valley.
«dai ci stavo riuscendo..» disse ancora Tonno mentre riprendeva il controller leggermente ammaccato a causa della caduta.
«sei un cretino, Tonno» continuò Cesare ridendo.
Avevano ventinove anni, ma si comportavano come se ne avessero dieci in meno.
«fottiti, Cantelli. Se ti incontro ti spacco il culo»
«la vedo difficile Tonno, mi vede soltanto Rob della palestra»
«vai ancora in palestra? Allora quei muscoli non sono per le seghe?»
«ti piacerebbe, bastardo» disse cesare a denti stretti mentre continuava ad ammazzare altra gente persa tra codici videoludici.
«sei rimasto imbottigliato in palestra per cinque anni?»
«non ne trovo una, che cazzo devo fare, scusami»
Tonno rise a quell'affermazione.
«'cazzo ridi, bastardo» disse Cesare ammazzandolo ancora una volta.
«ma porco schifo cesare!!» reagì stufo Tonno «mi sono rotto il cazzo, non gioco più»
«eddai fighetta, non vuoi mica ritirarti così»
«fighetta sarai te, che hai la vita sessuale attiva quanto quella di un nonno»
«bastardo» disse cesare per poi esultare emtusiasta.
«li hai fatti tutti?» chiese tonno mentre staccava la play.
«esatto, come al solito, tra l'altro» rispose il ragazzo muscoloso vantandosi.
«il solito orgoglioso, fai schifo come la merda»
«ti amo anch'io, toni» disse sarcastico cesare mentre si stese sul letto, stiracchiandosi.
«ma esci da quella casa?» chiese ancora tonno.
«ti ho detto di sì, ho ancora una vita, Tonno»
«capito, capito...»
«strana ma ce l'ho» disse stufo cesare sospirando ed alzandosi dal letto.
«fammi chiudere, devo scendere il cane»
«ok, ci sentiamo vecchio»
«ciao vez» e chiuse la chiamata buttando il telefono nella tasca della felpa.
«andiamo giù?» urlò Cesare andando in cucina, raggiunto subito dal piccolo chewbe entusiasta.
A quella scena il ragazzo sorrise accarezzando piano la testolina del suo cucciolo. Prese il guinzaglio e la pettorina, attaccò tutto ed uscì di casa, mettendosi le sue cuffiette mentre fece partire la sua playlist di canzoni.
Nel mentre la sua mente navigava, arrivando anche ai pensieri più macabri che la torturavano. 
Sospirò cercando di scostare quelle brutte immagini che si facevano sempre più lucide nella sua testa.
Erano cose quasi stupide, insensate. Nemmeno lui sapeva il perché continuavano a tornare dopo anni. 
Ad un certo punto la mente cadde su Nelson e su quello che successe il giorno prima.
Dio solo sapeva quanto lo faceva impazzire.
Quell'abbraccio bramato da anni gli aveva riacceso la speranza.
Prese inconsciamente tra le mani il suo telefono ed aprì subito la rubrica, cercando il contatto del suo amico Nelson.
Appena lo ebbe trovato si bloccò, completamente, sguardo fisso sullo schermo del telefono.
Chewbe, non vedendolo dietro di lui, tornò da lui e gli leccò dolcemente le caviglie scoperte, cercando di risvegliare il suo padrone da quello stato di trance.
Infatti, quasi automaticamente, Cesare si chinò verso il piccolo cane che stava impazzendo, non vedendo l'ora di arrivare al parco per poter finalmente correre con il suo amato padroncino, come era ormai da sempre consueto fare. 
Cesare gli accarezzò dolcemente la testolina e lui ricambiò subito il gesto con un abbaio, continuando a scodinzolare felice. 
«come diavolo fa quella bestiolina ad essere sempre così contenta?» si chiese Cesare alzandosi ed invitando Chewbe a riprendere la passeggiata fino al fatidico luogo di meritata libertà e gioco. 
Cesare però, prima di partire, guardò un'ultima volta il telefono, notando ancora il contatto di nelson selezionato sulla rubrica. Si morse il labbro chiudendo gli occhi, sospirò pesantemente e spense il telefono riponendolo nella sua giacca, raggiungendo il suo fidato compagno che ormai era avanzato, richiamandolo ogni tanto con qualche abbaio.

Nicolas guardava il soffitto con le lacrime agli occhi.
Era steso sul suo letto dopo un lungo colloquio di lavoro.
O anche un processo di licenziamento, se così poteva definirlo.
Anche se era già nei suoi piani, farsi licenziare o trasferire in una scuola a Bologna, il consiglio di classe ha deciso di "cacciare" dalla scuola il piccolo ragazzo perché "troppo attaccato agli alunni". 
Lui la definiva una totale pazzia, essendo l'unico docente a non riscontrare problemi nelle classi.
Certo, non era tutto rose e fiori, ma le sue lezioni erano tra le più piacevoli.
Chiuse gli occhi mentre una lacrima gli solcò il viso, ormai stanco e deluso.
La forte corazza che si era costruito grazie all'aiuto dei suoi amici era definitivamente crollata.
Ora era senza un lavoro, solo, in uno stato di cui conosceva poco e nulla.
Dopo svariati tentativi di trattenersi, dalle sue labbra uscì un leggero singhiozzo, seguito poi da un pianto tanto atteso.
Era davvero raro veder piangere Nicolas, e solo chi realmente lo conosceva poteva consolarlo a pieno.
Ma ora era solo, nessuno da abbracciare e stringere.
Si alzò velocemente dal letto e prese il telefono, digitando tremante il numero di telefono dell'unica persona che al momento desiderava sentire.
L'unica persona che era riuscito a donargli tutto in un niente.
Schiacciò sul contatto ed attese, mentre lacrime e singhiozzi continuavano a riempire la casa del povero Nicolas.
«pronto nic?»
La sua voce.
Sapeva di poter contare su di lui.
I singhiozzi gli impedivano di parlare, non riuscendo così a rispondere al richiamo.
«Nic..? Nicolas perché stai piangendo?» chiese subito preoccupato il ragazzo dall'altra parte della linea.
«D-Dario...» venne subito interrotto da un'ulteriore singhiozzo.
«sì, sono io, nic. Cosa succede? Perché stai piangendo?» disse poi con la sua voce rassicurante.
«Dario, i-io non ce la faccio più...»
«cosa ti hanno fatto?» chiese subito lui, preoccupato
«v-voglio tornare a casa, non c'è la faccio più...»
«cosa è successo?» chiese tranquillamente.
«m-mi hanno licenziato p-per motivi s-stupidi, n-non avevano u-un senso le loro p-parole..»
Dario rimase per un po' in silenzio, con una morsa che gli stringeva lo stomaco.
In quel momento non lo vedeva, ma lo percepiva.
Le immagini scorrevano nella sua mente.
Odiava vedere Nicolas in quelle condizioni.
Odiava vedere il suo petto alzarsi ed abbassarsi irregolarmente.
Odiava sentire la sua voce rotta dal pianto.
Odiava non vedere sulle sue labbra un sorriso sincero, di quelli che il piccolino sapeva donare a tutti.
Odiava vedere i suoi occhi distrutti.
Ma soprattutto odiava non poter fare nulla. Solo rassicurarlo.
Con stupide parole che non significano nulla.
Spense subito la sigaretta che rigirava tra le dita e che ogni tanto portava alle labbra.
«fai le valigie.» aggiunse subito prendendo il suo computer sul tavolino del salotto, accendendolo il più in fretta possibile.
«c-cosa...?» disse il piccolino non capendo.
«tu torni in Italia. Ora.» rispose prontamente il più grande, viaggiando tra le varie agenzie online viaggi per trovare un biglietto per l'Italia dalla Germania.
In quel momento non pensava al quanto potesse costare o a quale mezzo potesse usare.
Voleva lì con sé Nicolas.
Voleva abbracciarlo e stringerlo tra le sue braccia per potergli asciugare le lacrime.
E voleva vederlo sorridere.

spazio autrice
sì ok lanciatemi pure i pomodori contro, questo capitolo mi fa leggermente tanto schifo.
Perdonatemi l'enorme ritardo, ma questo capitolo è stato davvero difficile.
Vi giuro che finalmente dopo otto capitoli la storia parte seriamente, perdonatemi se questi capitoli sono noiosi, ma l'inizio è sempre così.
Spero che siate felici e che stiate bene.
Se vi va lasciate un commento e ditemi cosa ne pensate di questa storia e di questo capitolo, leggere i vostri commenti mi rallegra davvero molto la giornata.
Spero di aggiornare il più presto possibile.
Ve se ama

arriverenze e mi raccomando,

STATE A CASA




𝒂𝒇𝒕𝒆𝒓 𝒂𝒍𝒍 𝒕𝒉𝒊𝒔 𝒕𝒊𝒎𝒆 ..? - 𝒔𝒑𝒂𝒄𝒆 𝒗𝒂𝒍𝒍𝒆𝒚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora