capitolo 2

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«zio, zio! Ha detto papà che mi porterà al parco dei dinosauri!» disse il piccolo Niccolò a Cesare.
«ma davvero? Allora vuol dire che verranno da te e ti mangeranno tutto!» e dicendo questo il maggiore prese in braccio il piccolo bambino dai capelli ribelli e lo portò sul divanetto facendogli il solletico.
«Cesare!» il ragazzo nominato si girò di scatto verso la voce che lo aveva chiamato. Il sorriso della giovane donna lo invitò a ricambiare il gesto, solo che un po' più timidamente.
«ciao Beatrice» disse Cesare rimanendo lontano da lei, che venne subito affiancata da Nelson il quale guardava il ragazzo dai magnifici occhi verdi come per ucciderlo con un'occhiata.
«non si saluta nemmeno più ora?» e così dicendo di fece spazio nella stanza la gloriosa zia che aveva compiuto il gesto coraggiosissimo di invitare tutta la famiglia allargata che era la loro guardando con un sorrisetto furbo il moro.
«scusa zia, stavo arrivando di lì proprio ora».
Mentre diceva queste parole spuntò dalla cucina la mamma di Cesare che lo guardava con freddezza, quasi come se non lo conoscesse. Ed era proprio quella la sua intenzione da quando scoprì di avere un figlio "frocio".

«COM'È POSSIBILE CHE È NATO MALATO?  SE CE NE FOSSIMO ACCORTI PRIMA SAREMMO RIUSCITI A GUARIRTI, INGRATO» le parole del padre risuonavano per la stanza seguiti da un rumore secco di piatti rotti. Cesare era in un angolo della stanza con la testa chinata ed il respiro pesante. Gli occhi minacciavano di esplodere in lacrime, ma il ragazzo cercò in tutti i modi di opprimere questa sensazione.
«GIURO CHE SE SCOPRO CHE HAI INFLUENZATO ANCHE TUO FRATELLO TI STACCO LE ORECCHIE»
il respiro del giovane ragazzo si faceva sempre più irregolare. Non amava essere giudicato, soprattutto su un argomento di cui lui aveva sempre parlato molto, non solo perché era una persona empatica ma anche perché lui ci era dentro. Aveva sempre lottato contro questa sua insicurezza e cercava sempre di nasconderla. Ma per colpa di qualche pezzo di merda quel castello di carte costruito su quel buco pieno di mille incertezze venne distrutto con un semplice soffio. Si sentiva tradito, ecco cos'era quella sensazione opprimente di continuo disgusto verso sé stesso. Senza stare ad ascoltare le parole del padre corse al piano di sopra e prese tutte le sue cose. Alle urla dell'uomo si aggiunsero quelle della madre, anche lei schifata dal destino del figlio. Continuava a ripetere con insistenza: «DOPO TUTTO QUELLO CHE TI ABBIAMO DATO TU CI RINGRAZI COSÌ?! SEI UN EGOISTA»
Cesare cercò di uscire il più presto possibile da quel posto. Si sentiva imprigionato come se tutti i suoi sogni si potessero realizzare solo dopo aver abbandonato quel posto. Dopo aver finito di riempire il suo borsone con le sue cose, mentre le lacrime scendevano copiose sul viso del ragazzo, lo afferrò prendendo la giacca e forse fuori dall'abitazione. Mentre attraversava l'uscio gli occhi di un ragazzino innocente incontrarono quelli verdi e stanchi del ragazzo fuggitivo. Claudio Cantelli, fratello di Cesare, era lì ad osservare la scena, a vedere come il fratello veniva cacciato di casa solo perché preferiva il suo stesso sesso anziché delle ragazze spesso rompicoglioni, come diceva sempre Claudio. Lui voleva molto bene a Cesare e soprattutto non aveva mai pensato di diventare come lui. Era fidanzato e forse per questo motivo i genitori preferivano lui a Cesare. In questo momento Claudio era spaventato, triste e deluso dal comportamento dei genitori, ma lui non poteva farci nulla. "Se le persone sono stupide non sono io a dir loro di non esserlo" diceva sempre Cesare al fratello più piccolo, e lui scelse di usare questo slogan come una specie di stile di vita.
Mentre i genitori iniziavano a sentirsi meglio dopo aver cacciato il povero ragazzo di casa come dopo una disinfestazione, Cesare correva via piangendo. Aveva perso tutte le speranze nell'umanità per colpa dei genitori, ma alla fine lui cosa poteva farci? Era colpa sua se non riusciva a trovare attrazioni particolari verso le ragazze? Era colpa sua se da qualche tempo non capiva più nulla? Non lo sapeva. Si sentiva solo sbagliato, uno scherzo di questo mondo già malandato di suo. Continuava a correre senza una vera e propria metà, voleva solo andarsene. Forse per sempre, forse no. Ma voleva andare via, per ora. Via da quella gattabuia che era diventata casa sua. Non si rese conto di dove il suo correre lo avesse portato, ma quando le sue gambe cedettero ed ebbe il coraggio di alzare il viso si trovò davanti casa di suo cugino Nelson. Si tirò su e suonò al citofono di casa. Era in condizioni orrende ma sapeva che in quel momento Frank non si trovava in casa. Appena Nelson capì che era Cesare aprì il cancello e la porta. Il ragazzo dagli occhi verdi non riusciva a muoversi a causa della disperazione. Piangeva come un dannato, sentendosi in difetto per come lui era.
«Cesi ma che cazzo fai?!» il moro corse subito da lui e lo fece entrare in casa prendendo il borsone.
«sei impazzito?! Guardami in faccia!» non riuscendo a fare altro Cesare lo abbracciò stringendolo a sé. Nelson, confuso, ricambiò l'abbraccio facendogli poggiare la testa sulla spalla.
«cosa succede?»
«h-hanno saputo tutto...»
«cazzo Cesare... - il ragazzo occhialuto strinse più a sé il cugino - perché proprio tu... non meriti questo...»
«a-aiutami Nelson...»
«sì Cesare, ci sono io... Ora e per sempre, ricordatelo...»

𝒂𝒇𝒕𝒆𝒓 𝒂𝒍𝒍 𝒕𝒉𝒊𝒔 𝒕𝒊𝒎𝒆 ..? - 𝒔𝒑𝒂𝒄𝒆 𝒗𝒂𝒍𝒍𝒆𝒚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora