capitolo 12

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La voce che annunciò l'arrivo dell'aereo risvegliò Nicolas da suo sonno. Sollevò la testa appoggiata sulla spalla per tutta la durata del viaggio facendo un gemito strozzato e si stiracchiò sul posto per non disturbare il suo vicino di posto che cercava di sistemare la bambina seduta al suo fianco.
Tolse le cuffiette che ormai non riproducevano più musica e le mise in tasca in modo disordinato.
Accese il telefono e guardò l'orario, quello previsto dal biglietto. Appena la solita voce profonda permise di slacciare le cinture di sicurezza dopo aver effettuato l'atterraggio e dopo che i passeggeri fecero il solito applauso, nic si alzò e si avvicinò al portabagagli per ritirare la sua valigia, che riuscì a prendere solo con l'aiuto di un hostess fortunatamente italiano.
Mentre il ragazzo prendeva la valigia, il Paruolo esaminò la sua espressione, notando subito gli occhi scuri e il naso leggermente rivolto all'insù.
Sorrise a quel particolare che lo ricondusse subito al viso del suo amico.
L'hostess lo guardò tra un interrogativo e un divertito.
Nicolas arrossì di colpo e abbassò la testa imbarazzato: «m-mi scusi è che... mi ricordate molto un mio amico...»
«dal suo sorriso si vede che è un amico molto importante»
«se è importante? È fondamentale per me la sua esistenza!» disse nic.
L'hostess ridacchiò divertito dalla reazione del più piccolo.
«tranquillo - disse per poi dargli la valigia - in bocca al lupo»
Nic sorrise ampiamente.
«viva il lupo, buon lavoro» e detto ciò scese dell'aereo avviandosi velocemente verso l'uscita.
Appena varcò la soglia si guardò attorno ricordando l'ultima volta in cui passò l'entrata dell'aeroporto.
Iniziò a piangere felice di essere tornato a casa e si incamminò verso un taxi libero.
Si sedette sul sedile comodo dell'auto e si affacciò verso il taxista dicendogli l'indirizzo di casa di Dario che teneva scritto su un foglietto dietro il telefono.
Si asciugò le ultime lacrime ma altri singhiozzi tradivano la sua piccola corazza.
«tutto ok?» chiese il taxista dando una piccola occhiata al ragazzo seduto dietro di lui.
Il riccio annuì stringendosi nella grande felpa, rivolse lo sguardo verso il finestrino poggiando la testa su di esso, aspettando che il veicolo parta verso casa di Dario.
Dopo circa venti minuti di strada interminabili il taxista tirò il freno a mano e si girò verso il piccolo ragazzo che, vedendo la macchina ferma, si irrigidì immediatamente, spaventato all'idea di piombare in quel modo in casa del più grande.
«e-ecco a lei i soldi - farfugliò nicolas porgendo qualche banconota al taxista - g-grazie mille e arrivederci» disse velocemente uscendo dalla macchina insieme alla sua valigia goffamente.
Alzò lo sguardo verso l'edificio a più piani posto dinanzi a sé.
Deglutì un groppo formatoglisi in gola e si incamminò lentamente verso l'entrata del condominio.
"sesto piano. Pronto a morire, nicolas?" pensò spaventato il ragazzo iniziando a salire lentamente le scale.
Primo piano.
Secondo piano.
Perché cazzo l'ascensore è sempre rotto in questa casa?
Terzo piano.
Le gambe iniziano a tremare.
Quarto piano.
La testa gira.
Quinto piano.
Il cuore salta.
Sesto piano.
Arrivato.
Si avvicinò piano alla porta mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime di gioia.
Stringe il pugno lasciando libero l'indice, lo alza quasi titubante e lo avvicina al campanello.
Preme.
Un rumore simil campana arrivò all'orecchio di Nicolas in modo ovattato.
Il cuore gli salì in gola.
I minuti scorrevano lenti.
Sentiva il ticchettio delle lancette del suo orologio da polso.
Tirò un respito profondo, forse non era in casa.
Fece per andare indietro ma poi, così dal nulla, un rumore forte fece sobbalzare il piccolo Nicolas.
Che ci fossero i ladri?
O peggio, se si fosse fatto male?
L'agitazione salì alle stelle.
Prese a suonare il campanello con più decisione, non sapendo cos'altro fare.

Dall'altra parte della porta, invece, c'era lui.
Che all'udire il suono del campanello si rese conto delle pessime condizioni in cui era ridotta la casa.
Ma soprattutto le sue pessime condizioni.
Si avvicinò allo specchio e passò una mano tremante tra i capelli scombinati, cercando un qualche modo di domarli. Poi si soffermò a guardare il suo viso solcato dai difetti.
Occhi spalancati e rossi, due grandi occhiaie sotto di essi, zigomi risaltati abbastanza a causa della sua esilità, pelle pallida e labbra screpolate.
A quella visione i suoi occhi si riempirono di lacrime amare.
"Lui non può accettare un mostro, arrenditi, bastardo."
Tirò un forte pugno sullo specchio come se fosse il vetro veritiero la causa di tutto questo suo malessere, nonostante sapesse che la causa di tutto era il riflesso di ciò che lui odiava.
Pezzi di vetro caddero a terra frantumandosi ancora, mentre sulle bianche nocche di Dario iniziarono a vedersi piccoli segni rossi.
Si allontanò spaventato, sentendo il campanello suonare con insistenza.
«NO NICOLAS, NON VOGLIO CHE TU MI VEDA COSÌ...» urlò Dario quasi come per spaventarlo.
Nella mente del più piccolo partirono tante paranoie.
Dario aveva sempre cercato di nascondere il suo lato peggiore a Nicolas, per paura di fargli del male.
«Dario avvicinati alla porta...»
Il più alto alzò lo sguardo verso la lastra di legno, avvicinandosi lentamente per poi poggiare la testa su di essa ed iniziando a singhiozzare.
Il cuore del più piccolo perse un battito.
Poggiò la mano sulla porta, mentre il ragazzo dall'altra parte fece lo stesso.
«Dà... aprimi la porta...» disse tranquillamente Nicolas.
Il più alto si allontanò dalla porta e prese le chiavi di casa.
Aprì lentamente la porta trovandosi difronte la figura minuta del più piccolo con gli occhi lucidissimi.
Rimasero a guardarsi così, come quando in un sogno vorresti gettarti tra le braccia dell'altro e non staccarti più ma non puoi, non ci riesci.
Era questa la sensazione che provavano i due ragazzi.
Dall'occhio di Nicolas scese una lacrima calda di gioia.
Accennò ad un sorriso e lasciò cadere la valigia.
Due metri soli li dividevano.
Prese coraggio e fece un passo verso di lui, velocizzandosi per poi abbracciarlo, venendo subito ricambiato.
Dario già piangeva, Nicolas no.
Esplose in un pianto di gioia quando il più grande sussurrò: «mi sei mancato tantissimo nic».
Lì non ce la fece e pianse.
Pianse perché finalmente è dove ha sempre voluto stare, tra le braccia di chi sapeva apprezzarlo anche per le minime cose.
«ti prego nic non piangere anche tu» disse Dario cercando di attutire il pianto.
Nicolas però non ce la faceva.
Era troppo preso per non piangere.
Vedendolo in quelle condizioni sciolse l'abbraccio e prese la valigia mettendola in qualche punto della casa, per poi tornare da nicolas e abbracciarlo ancora chiudendo la porta.
«dai non fare il bambino» disse poi Dario ridacchiando cercando di sollevare il più piccolo, ma lui non ne sapeva di smettere di piangere.
Era troppo felice di essere tornato a Bologna.
Era troppo felice di essere tornato da lui.
Si sedettero sul divano guastato di Dario, mentre ancora il corvino si trovava tra le braccia del più grande calmando il suo pianto.
«ti senti meglio nic..?» aggiunse poi Dario.
Il più piccolo annuì stringendosi più nel suo petto, mentre il maggiore passava delicatamente la mano nei capelli del minore.
Da quel momento un polverone di nulla si adagiò attorno ai due ragazzi.
Piccoli gesti bastavano.
Nessuno dei due osò fiatare.
Silenzio.
Un silenzio che, per loro che lo avevano invocato, valeva più di mille parole.


𝒂𝒇𝒕𝒆𝒓 𝒂𝒍𝒍 𝒕𝒉𝒊𝒔 𝒕𝒊𝒎𝒆 ..? - 𝒔𝒑𝒂𝒄𝒆 𝒗𝒂𝒍𝒍𝒆𝒚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora