4. Decisioni difficili

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Aurora



Sono passati molti giorni dal giorno dell'incontro con Nic. Li contavo, all'inizio. Mi dicevo, "Ecco. Oggi è una settimana...". Poi le settimane sono diventate due, e poi tre. Alla fine ho smesso di fare la conta del tempo. Non c'era una scadenza da rispettare, alla fine di quella conta. Eppure era quella l'illusione che si era fatta strada nella mia testa. All'improvviso mi ero sentita come se Nic mi avesse dato un termine. Un termine entro in quale decidere che cosa fare della mia vita, se affrontarla, se continuare a fuggire. Ma Nic quel termine non me lo aveva dato. Semplicemente, mi aveva chiesto di pensarci. Il termine era frutto della mia suggestione: chissà perché mi illudevo che solo messa alle strette avrei saputo decidermi. 

Ma non volevo affrontare la mia vita. L'avevo saputo durante l'incontro e nei lunghi giorni che l'avevano seguito. E più il giorno del nostro incontro si allontanava, più mi rasserenavo pensando che le speranze di Nic di ricevere una telefonata da parte mia si stavano senz'altro affievolendo e presto sarebbero scomparse. 

Eppure... 

Il suo numero di cellulare fissato con una calamita al frigo in cucina, giorno dopo giorno, mi ammoniva. Nic aveva detto di chiamarlo, anche solo per dirgli di no. Mi aveva dato la responsabilità di prendere una decisione e comunicargliela. Rifiutandomi di farlo, io non stavo soltanto fuggendo dalla mia vita. Stavo fuggendo dalle mie responsabilità. Era davvero questa l'Aurora che volevo essere?

Perché non avevo il coraggio di dirgli una volta per tutte che non intendevo tornare? Perché c'era quella breccia che lui aveva aperto nel mio cuore: non valeva forse la pena tornare anche solo per recuperare la sua amicizia? La sua e quella di Rita? Come potevo avere la forza e il coraggio di dirgli che no, non sarei tornata, nemmeno per loro, quando in realtà loro erano l'unica cosa bella della mia vita e mi mancavano da morire?

Era quello il motivo per cui non avevo buttato via quel tovagliolo sgualcito. Ma era davvero l'unico? No, non lo era. Lo avevo saputo fin dal primo istante ma fino ad ora non avevo voluto confessarlo a me stessa. Irrazionalmente, infatti, contraddiceva ogni mia convinzione. Quel tovagliolo stava lì a ricordarmi che avevo una via di fuga. Nel profondo sapevo di aver inconsciamente desiderato a lungo un passaporto per il ritorno. Anzi probabilmente, in realtà, mentre fuggivo, non avevo mai desiderato altro. Che qualcuno mi afferrasse per un braccio e mi costringesse a tornare a casa, ad affrontare i miei demoni. E ora eccolo lì il passaporto tanto atteso verso il ritorno. Quel foglio mi gridava di tornare.

Se fossi stata davvero sicura di voler continuare a fuggire, lo avrei buttato via. Invece, lo avevo appeso in bella vista. E da quel momento avevo iniziato a fare i conti con quella verità segreta, inconfessabile, che nonostante ogni sforzo razionale sapevo esistere: l'idea di tornare mi terrorizzava ma allo stesso tempo aveva iniziato a sedurmi, ad affascinarmi.

Ci sto pensando da giorni, ormai. Anche adesso, in questo momento, mentre fisso infastidita da quell'evidenza la serie di numeri che in una manciata di secondi potrebbe collegarmi a Nic sto pensando che lo desidero. Desidero uscire dall'incubo di questo mio presente, perennemente sospeso tra dolore e rabbia. Non ne posso più. 

Dal giorno dell'incontro, non sono più riuscita a dormire. Sono stata di nuovo sopraffatta da pensieri distruttivi, dai ricordi che affiorano all'improvviso e mi aprono a metà il petto, togliendomi il fiato. In apnea, nel cuore della notte ho ricominciato a dimenarmi nel letto per trovare aria. Aria e pace. Senza mai riuscirci. Dal giorno dell'incontro sono di nuovo a pezzi come i primi giorni della mia fuga. Non riesco a concentrarmi su niente che non siano il mio dolore o la mia rabbia. Nei giorni buoni è la rabbia a prevalere. È come una scarica. Mi fa fare cose distruttive ma almeno provoca in me delle reazioni. Il dolore no, il dolore è come un'implosione.

Sono stanca. Stanca da morire di essere così fragile. Non voglio più fingere di vivere in un equilibrio che non esiste. Forse è davvero arrivato il momento di attraversare la porta delle mie responsabilità. Affrontare il passato, cercare di dare un senso a quello che è successo, ritrovare me stessa guardando in faccia il mio dolore. Sono stanca di permettere alla mia estenuante lotta interiore di continuare a rovinarmi la vita. 

Ha ragione Nic. Devo affrontare il passato per potermi riappropriare di un presente. E lo devo a me stessa. In un attimo, mi sorprendo a staccare quel tovagliolo sgualcito dal frigo. Il cuore inizia a battermi impazzito nel petto. Anche se mi tremano le mani e sono sconvolta dalla paura, digito in fretta il numero sul mio cellulare. Devo fare in fretta prima di poterci ripensare. Inspiro profondamente, in attesa di sentire i primi squilli. Uno, due, tre. Sembra passare un'eternità.

«Pronto?» finalmente la sua voce.

La tensione si apre in un singhiozzo disperato che cerco di nascondere. Mi premo la mano libera sulla faccia, sperando che lui non si accorga della mia fragilità.

«Pronto?» Nic insiste. Se prima era stato cauto, adesso sembra impaziente e speranzoso. «Aurora sei... sei tu?» la sua voce è quasi un sussurro.

Mi faccio forza. «Nic» lo chiamo, cercando di non cedere al panico che mi farebbe riattaccare.

«Sì!» lo sento esclamare, non riesce a nascondere la sua gioia. «Aurora, è grandioso sentirti!» Per un attimo mi sembra quasi di vederlo esultare. E mi viene da sorridere.

«Nic, avevi ragione» continuo. Adesso che ho finalmente trovato il coraggio di ammettere a me stessa che è arrivato il momento di fare i conti con il passato devo essere forte e andare fino in fondo. Qualsiasi cosa succeda. «Non ha senso continuare a fuggire, credo sia arrivato il momento di tornare...»

Il mio sbaglio 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora