Capitolo 13

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Mi svegliai di soprassalto a causa di un lungo ronzio tormentarmi da ore, ma le mie palpebre erano praticamente sigillate, incapaci di aprirsi.

Come se non dormissi da anni, da una vita e poi tutto d'un tratto mi aveva investito un sonno profondo e intenso.

I miei muscoli erano deboli e indolenziti, come se avessi corso una maratona.

Dopo vari tentativi, aprii gli occhi

e quello che vidi fu abbastanza per mandarmi in panico e per aumentare la mia paura.

Ero distesa su un duro materesso poggiato sul pavimento, senza coperte e con le molle interne che fuoriscivano, alimentando il dolore alla schiena.

Cigolo' il letto quando cercai di muovermi, ma nessun movimento fu compiuto a causa dell'indebolimento del corpo.

Abbassai lo sguardo tanto da far cadere gli occhi sulle corde massiccie che mi circondavano il busto, le caviglie e i polsi, troppo stretti da impedirmi di muovermi.

La mia fronte si imperlo' dal sudore, brividi velarono il mio corpo e entrai nel panico piu' assoluto.

I miei occhi schizzarono da una parte all'altra volendo disperatamente capire dove mi trovassi.

Sembro' uno di quegli edifici abbandonati.

Era ricoperto da grandi crepe, il portone di ferro era interamente arruginito e presentava profondi ammaccature.

Sapevo cosa stava per succedere, e solo il pensiero mi dava i brividi, scuotendo la paura piu' nera.

Singhiozzi strozzati uscirono dalle mie labbra secche mentre una lacrima cominciava a rigarmi il volto, fino a finire lungo il collo.

Sapevo che non ne sarei uscita viva, non questa volta, e la colpa era solo mia.

Avevo preso io la decisione di deviare e di camminare per il vicolo buio solo per evitare commenti e sguardi inquisitori, ero stata io ad prenotare un viaggio solo andata verso il mio peggior incubo.

Forse sarebbe andata allo stesso modo se fossi entrata dalla porta di casa mia, forse lui sapeva dove stessi andando e forse sapeva che una volta arrivata non sarei mai piu' tornata a Doncaster, dove la mia vita aveva preso una svolta decisiva.

Forse anche mia madre era alleata dalle oscure idee di Steven o forse lei si trovava legata come me, in un posto vuoto e sconosciuto.

Adesso ero sola e impaurita in un grande edificio da un odore ripugnante.

Digrignai i denti quando cercai di alzarmi e di scappare da lì prima che il buio mi portasse con lui, ma i miei tentativi fallirono quando la corda spessa lacero' la mia pelle provocandomi grandi fitte di dolore che si diffusero in tutto il corpo.

Non rinunciai, mi dimenai con tutte le mie forze allontanando con bruschi movimenti le corde che mi tenevano stretta e bloccata in quel posto malridotto.

Ma le mie forze mano a mano vennero a mancare e caddi sfinita sul materasso sbattendo violentemente la testa.

Urlai dalla frustazione e piansi dal dolore lancinante che mi investì intermente, infiammando ogni parte del corpo, fino a sotto le ossa.

«Fallo!» Urlai con tutte le forze che avevo in corpo. «Fallo!» Ripetei sconfitta, con il corpo che troppo stanco non rispondeva alle mie azioni.

«Per favore» La mia voce si affievolì supplichevole.

Per un attimo mi manco' l'aria e quasi svenni quando, voltata al lato sinistro, inquadrai una grossa figura coperta dal buio della notte che quella piccola finestra mostrava, che faceva girare abilmente tra le dita un coltellino d'argento dalla punta affilata e sottile.

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