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L'automobile scassata aveva sobbalzato ad ogni minima crepa sull'asfalto della strada che avevano percorso fino a quel momento. Per quattro interminabili ore, Camila aveva dovuto sopportare il rumore del motore che faticava a mandare avanti quel catorcio di auto sulla quale era seduta, mentre sua madre e Phil blateravano in continuazione. Camila pensava che non fosse umanamente possibile portare avanti una conversazione così stupida per tutto quel tempo, ma sua madre e il suo patrigno erano decisi a dimostrarle il contrario. Per tutto il viaggio non avevano fatto altro che scambiarsi commenti squallidi e battutine idiote, che facevano venire i conati alla povera ragazza. E quando dalle loro bocche non usciva nulla di osceno, le orecchie di Camila erano riempite dalle lamentele che i due non si risparmiavano, ripetendole che era una ragazza cattiva e pericolosa, che aveva deluso sua madre con il suo comportamento, e che per questo dovevano essere presi dei provvedimenti.

La madre di Camila, una donna sulla quarantina che si credeva ancora una ragazzina di vent'anni, aveva deciso che per la figlia fosse arrivato il momento di ricevere un po' di disciplina. E il Saint Jude Institute era la soluzione perfetta. I punti che avevano convinto la madre di Camila mentre leggeva la brochure del collegio riguardavano principalmente la rieducazione che veniva offerta. I ragazzi ospitati nell'istituto seguivano corsi equivalenti alle normali scuole del paese, con l'aggiunta di attività volte a domare il loro temperamento. E poi c'era l'obbligo di essere ospitati H24 al suo interno, grazie agli ampli dormitori che venivano messi a disposizione. Camila era sicura che questa fosse l'unica cosa che interessasse davvero a sua madre. Perché, sebbene la donna non lo avesse mai detto ad alta voce, Camila sapeva che sua madre la odiava. La ragazza era convinta di non aver mai ricevuto una carezza o un sorriso da parte della madre, e se non fosse stato così, quei gesti dolci e amorevoli appartenevano ad un passato lontano che Camila non poteva ricordare. Nella sua memoria invece, erano incisi gli sguardi di fuoco che aveva sempre ricevuto da sua madre, le parole oscene che le urlava contro quando si arrabbiava con lei, o i commenti poco piacevoli che faceva sul suo aspetto. Gli insulti erano la cosa più vicina ad un complimento che avesse mai ricevuto da quella donna. Tutto questo era sopportabile solo grazie a Phil. Chiariamoci, il suo patrigno non era un santo, semmai il contrario, ma almeno aveva la facoltà di distrarre la madre di Camila. Quando l'uomo stava nel loro appartamento, Camila diventava improvvisamente invisibile agli occhi di sua madre e questi erano momenti nettamente migliori rispetto a quelli in cui doveva subirsi la sua furia. La consapevolezza che a breve avrebbe trascorso giornate intere senza di lei, donava a Camila un certo conforto. Se sua madre non vedeva l'ora di sbarazzarsi di lei, il sentimento ero condiviso anche da sua figlia.

Con lo sguardo fisso verso l'esterno, Camila era stata accolta da un vecchio cartello rovinato dal tempo, sul quale spiccava la scritta "Benvenuti a Whitecastle". In pochi minuti sarebbe arrivata a destinazione e avrebbe iniziato la sua nuova vita in quella piccola cittadina che ospitava il riformatorio. Camila non aveva idea di cosa aspettarsi, quello di cui era certa però era che non stava di sicuro andando in villeggiatura. Non avrebbe mai nemmeno potuto fingere il contrario: neanche sforzando ogni neurone buono che le era rimasto sarebbe riuscita ad immaginare di essere in vacanza. Ogni centimetro di quel luogo sembrava essere stato creato per ricordarle che non ci sarebbe stata alcuna possibilità per lei di essere felice. Whitecastle era un paesetto vecchio e desolato, costituito da poche case deturpate e circondate da folta vegetazione. I pini alti che contornavano la città avevano in qualche modo impedito al tempo di scorrere perché sembrava essere rimasta ferma agli anni '70. E il meteo non aiutava di certo: il cielo era grigio e nuvoloso, e l'odore della pioggia aleggiava nell'aria, indice che di li a poco si sarebbe scatenato un acquazzone.

Dopo aver attraversato tutto il pittoresco comune di Whitecastle, l'auto di Phil aveva proseguito ancora per una decina di minuti verso il nulla. Camila non vedeva altro che asfalto rovinato e sempreverdi. Poi, in mezzo a quella desolazione, vide spiccare isolato l'edificio della sua destinazione. Il Saint Jude si mostrava tetro e fatiscente e Camila si complimentò mentalmente con il potere di photoshop, che era riuscito a trasformare completamente l'aspetto del collegio sulla brochure che lo presentava. L'auto rallentò fino a fermarsi davanti agli imponenti cancelli in ferro che si aprirono un secondo dopo. Evidentemente dentro la stavano già aspettando. Phil non si preoccupò di riaccendere il motore e accompagnarla fino all'ingresso, invece scese dall'auto e frettolosamente scaricò le valige di Camila. Sua madre nel frattempo si era girata verso i sedili posteriori, guardando con la coda degli occhi la figlia per farle le ultime raccomandazioni. La donna non si era nemmeno degnata di scomodarsi per salutare sua figlia un'ultima volta.

«Sei arrivata Camila» gracchiò la donna con voce roca rovinata dal fumo. «Sbrigati ad uscire che dentro ti stanno aspettando. Non combinare casini. E chiamami solo se ci sono dei problemi. Ci vediamo tra qualche mese». Camila annuì e scese dall'auto con un sospiro. Sua madre abbassò il finestrino per dirle un'ultima cosa. «Se la scuola mi contatta per dirmi che ne hai combinata un'altra delle tue, sarà peggio per te. Ci siamo capiti? Non farmi scomodare a venire fin qui per mettere apposto i tuoi danni». E con queste parole l'auto sfrecciò sulla strada dalla quale erano arrivati, lasciando una Camila allibita e senza speranza difronte ai cancelli dell'istituto.

Una donna di mezza età, con i capelli unti raccolti in una crocchia e il viso tondo marcato da un'espressine dura, si avvicinò velocemente a lei. «Camila Cabello?» chiese assottigliando lo sguardo.

«Sono io» rispose Camila facendosi coraggio. La signora le fece cenno con la testa di seguirla e le due si incamminarono a passo spedito sulla ghiaia che pavimentava il cortile anteriore del collegio. Camila faticava a seguire la vecchia donna, incapace di trascinare facilmente la valigia sui sassolini appuntiti che stavano sotto ai suoi piedi. Davanti a lei, la signora dal nome ancora sconosciuto, spalancò le porte pesanti che le accolsero con un cigolio fastidioso. Camila si ritrovò in un atrio amplio e vuoto, con i pavimenti di marmo rovinati e i muri ingialliti. I tacchetti della donna riecheggiavano sulla superfice liscia che c'era a terra mentre si dirigeva dietro ad una specie di sportello di benvenuto posto alla destra dell'entrata. Al di là del vetro, una targhetta in ottone indicava il nome di quella che sembrava essere la sorvegliante del posto: Miss Eselmeister. Dopo essersi seduta sulla poltroncina scricchiolante dietro la scrivania, Miss Eselmeister iniziò a parlare.

«Bene, da questo momento sei sotto la responsabilità del Saint Jude Institute. Questo significa che dovrai rispettare le regole del posto. Niente cellulari o apparecchi elettronici di qualsiasi genere; niente armi o oggetti che potrebbero essere usati come tali; niente alcol, sigarette o sostanze stupefacenti. E nemmeno medicinali, se necessario saremo noi a procurarli. Qualcosa da dichiarare prima che i tuoi bagagli vengano ispezionati?». La sorvegliante alzò un sopracciglio assumendo un'aria inquisitoria e Camila iniziò a svuotare le tasche. Appoggiò sul banco difronte a lei il suo cellulare e l'IPod, poi estrasse dalla valigia la forbicetta per tagliare le unghie che si era portata da casa e le pastiglie per il mal di testa.

«Non credo ci sia altro» ammise, imprecando mentalmente per essere stata privata dei suoi beni.

«Ora controllo il contenuto della valigia e se dovessero esserci degli oggetti vietati, saranno sequestrati» proseguì severa la donna. Poi si agitò sulla sedia per richiamare l'attenzione di qualcun altro. «Mendes!» urlò, richiamando un ragazzo che era appena sceso dalle scale. «Mostra l'edificio alla nuova arrivata e assicurati di spiegarle come funzionano le cose da queste parti» istruì severamente al ragazzo dai ricci castani.

Camila si lasciò guidare tra i corridoi dell'edificio, non prima però che lo sconosciuto si fosse presentato. «Sono Shawn» disse il ragazzo porgendole la mano con un sorriso caloroso.

«Camila».

Saint Jude Institute || ShawmilaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora