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Erano appena passate le nove e mezza di sera e Camila era già stesa sotto le ruvide lenzuola, desiderosa di potersi addormentare. Non che fosse assonnata, ma chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare nel sonno era l'unico rimedio che era riuscita a trovare per combattere la noia. Prima di essere rinchiusa in quel luogo dimenticato da Dio, Camila passava le sue serate con gli occhi incollati ad uno schermo. Non le interessava se si fosse trattato di un cellulare, di un computer o di una televisione, quello che contava era che la ragazza potesse vedere delle immagini luminose in movimento. Ogni sera aveva l'abitudine di scegliere un film a caso, sdraiarsi su una superficie soffice e aspettare che le sue palpebre si chiudessero. Ora invece non aveva nessun mezzo per affaticare le sue pupille, quindi addormentarsi diventava una sorta di sfida.

Camila stava pensando che l'unico aspetto positivo di provare a chiudere gli occhi a quell'ora era che la sua compagna distanza non si era fatta ancora vedere. La ragazza sapeva di essere nevrotica, ma non poteva fare a meno di innervosirsi ascoltando il respiro pesante di Rebekah, un rumore che riempiva la stanza in modo subdolo, ma impossibile da ignorare per Camila. Proprio mentre sulle sue labbra si stava formando un sorriso compiaciuto per il tanto desiderato silenzio, la porta della stanza si spalancò e la persona più fastidiosa che Camila conoscesse fece il suo ingresso. Rebekah aveva i capelli gocciolanti e il viso era arrossato, probabilmente a causa della temperatura dell'acqua con cui si era appena lavata. La rossa aveva una strana espressione in faccia, simile a quella di chi è combattuto se dire qualcosa o tenere la bocca chiusa. Dopo aver fatto pace con se stessa e aver posto fine al dibattito che stava andando avanti nella sua testa, prese la parola.

«Senti novellina, non avevo intenzione di dirti nulla, e continuo a domandarmi perché io lo stia facendo comunque, ma stasera sei stata invitata. Quindi vestiti e seguimi».

Camila strabuzzò gli occhi. «Seguirti? Non ho idea di cosa tu stia dicendo, ma non ho intenzione di mettermi nei guai». La ragazza era sicura che Rebekah avesse architettato qualche sorta di piano per metterla nei casini. Camila conosceva bene le persone come lei: bulli annoiati che si divertono a rendere la vita di chi li circonda una vera tortura. Anche lei a volte si era comportata in quel modo.

«Si intuisce che sei una specie di suora, ma fidati se ti dico che non ci saranno conseguenze. Non che io muoia dalla voglia di averti attorno, ma c'è qualcuno che mi ha implorata di portarti con me, quindi non fare la difficile e seguimi» disse Rebekah con un'espressione scocciata e gli occhi che si alzavano al cielo ogni due parole.

Camila non le avrebbe dato retta se non fosse che la stronza difronte a lei le aveva appena dato della suora. Camila una suora? Col cavolo! pensò. Forse non avrebbe dovuto dimostrare niente alla vipera con cui doveva condividere la stanza, ma era più forte di lei. Così Camila scostò dal suo corpo le coperte con un colpo deciso e indossò i primi indumenti che trovò nell'armadio. In due minuti era nei tetri corridoi del collegio, intenta a seguire Rebekah. Camila non aveva idea di quale fosse la destinazione di quella visita notturna, ma una volta arrivata nella parte dei dormitori maschili aveva sentito puzza di guai. Le regole erano chiare: le ragazze non erano ammesse in questa parte dell'edificio, e se questa regola esisteva, allora bisognava rispettarla. In fondo i regolamenti erano stai creati per qualche motivo, che bisogno c'era di disobbedire? Nella sua testa risuonarono le parole che Rebekah le aveva detto poco prima. Suora, suora, suora. Camila si impose di accantonare momentaneamente la sua politica per il rispetto delle regole e immedesimarsi del tutto nel ruolo di cattiva ragazza che si era sentita affibbiare molto spesso nell'ultimo periodo. Senza bussare, Rebekah entrò in una delle stanze urlando una frase patetica: «E' qui la festa?!».

Camila si guardò attorno per ispezionare la camera. Una decina di persone affollava il piccolo spazio, riempiendo l'ambiente con un mormorio di voci allegre. Lì dentro solo tre facce le erano familiari: quella di Rebekah, quella di Trevor e quella di Shawn. Una parte di lei si era meravigliata a vederlo lì, avendo immaginato che fosse un ragazzo tranquillo. Si riscosse dai suoi pensieri e entrò a sua volta, seguendo i passi di Rebekah. Neanche un secondo dopo una biondina appena più alta di lei le corse incontro.

«Finalmente! Mi stavo chiedendo se saresti mai arrivata!».

Camila la guardò perplessa. Perché quella sconosciuta le stava parlando come se fossero amiche da sempre?

«Io sono Lucie, scusa se ti sto spaventando» le disse allegramente, facendo trasparire la sua natura energetica, un tratto che Camila aveva sempre invidiato a chi lo possedeva.

«Non mi stai spaventando, mi hai solo presa un po' alla sprovvista».

Lucie le sorrise calorosamente. «Sono contenta che tu sia venuta. Non vedevo l'ora di conoscerti! Forza, vieni a sederti accanto a me». L'afferrò per un braccio e la trascinò a sedersi con il resto del gruppo. Nel frattempo gli occhi curiosi di Shawn la stavano fissando.

«Non sapevo saresti venuta anche tu stasera» ammise il ragazzo.

«Non lo sapevo nemmeno io» rispose lei d'istinto. «Tu cosa ci fai qui?» gli chiese senza farsi troppi scrupoli.

Shawn scrollò le spalle con fare disinteressato. «Mi stavo annoiando e questo è un modo per passare il tempo».

Trevor interruppe la loro conversazione, intromettendosi. «Camila! Mi fa piacere vederti qui! Tieni, prendi questo» le disse porgendole un bicchiere. La ragazza guardò il liquido colorato e lo annusò: era qualcosa di forte, ma lo accettò più che volentieri. Pensava che non avrebbe più assaggiato un goccio di alcol finché non sarebbe uscita da quel posto.

«Non devi berlo se non vuoi» la rassicurò Shawn in modo apprensivo.

A Camila scappò una risata. «Scherzi? Questo bicchiere è come un'oasi nel deserto. Grazie Trevor!» disse infine rivolgendosi al biondo. Portò il drink alla bocca e lo assaporò come se fosse la cosa più gustosa che avesse bevuto da anni. «Tu non ne vuoi?» chiese a Shawn, che nel frattempo la stava guardando stupito.

Lui scosse la testa. «No, io non bevo» e dopo quelle parole si allontanò da lei. La ragazza ignorò il suo improvviso cambio di umore e si concentrò sulla missione che aveva per quella sera: cercare di farsi accettare dal gruppetto.

Saint Jude Institute || ShawmilaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora