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Era passato un mese? Un anno? Una settimana? Camila non ne aveva la più pallida idea. Aveva la sensazione di essere stata rinchiusa lì dentro da un'eternità. A volte temeva che si fossero dimenticati che due giovani erano stati incarcerati nei sotterranei ammuffiti di quel vecchio convento degli orrori, se non fosse stato per la signorina Eselmeister. Sfortunatamente per Camila però, la sorvegliante non li visitava più così spesso e le loro giornate erano diventate ancora più noiose.

«Per ogni momento che passa, mi pento sempre di più di aver tentato di scappare da qui» ammise infine la ragazza durante una delle tante conversazioni con Shawn.

«Dici sul serio?» chiese lui, notevolmente sorpreso.

«Sì, insomma... non ne è uscito nulla di buono. Anzi, se prima la situazione era appena sopportabile, ora è anche peggio».

 «Non sono d'accordo» constatò il ragazzo.

Se Shawn fosse stato nella stessa stanza di Camila, avrebbe potuto vedere come la sua ragazza avesse spalancato gli occhi, sbalordita da quella affermazione. «Ok, non ci sono dubbi: l'isolamento ti ha fatto impazzire veramente».

Shawn rise leggermente e fu felice di scoprire che nonostante tutto, la sua ragazza non aveva perso quel suo lato sarcastico e divertente che, ai suoi occhi, l'aveva sempre fatta brillare. «Sono serio, Mila. Non mi pento affatto di aver tentato di fuggire da questa gabbia di matti. Abbiamo provato ed abbiamo fallito, ma non è la fine del mondo».

La giovane era sempre più confusa. «Sei stato picchiato ferocemente, rinchiuso in una stanza ammuffita e trattato come un animale selvaggio, e non è la fine del mondo?!?!».

«Pensaci bene - riprese lui - prima dell'isolamento le cose non erano troppo diverse. Venivo comunque picchiato, ero comunque confinato in uno spazio dal quale non potevo uscire (anche se più grande), e non venivo trattato certamente come un essere umano». Camila pensò che effettivamente Shawn non si stava sbagliando, ma era comunque convinta che stesse minimizzando le sue condizioni. «Inoltre abbiamo fatto pratica e quando ci riproveremo saremo pronti ad affrontare le eventuali problematiche».

A quelle parole Camila balzò in piedi e cominciò a camminare nervosamente all'interno della piccola cella, avanti e indietro. «Cosa stai dicendo?! Hai forse perso la ragione?! Shawn, non esiste, non ti lascerò riprovare con quell'impresa folle». Il tono della ragazza era categorico.

«Oh, andiamo. Lascia almeno che ti spieghi cosa sto progettando».

«No, Shawn, te lo scordi! Non resterò qui a guardare mentre tenti di farti ammazzare. Perché se il direttore ti ha ridotto in quelle condizioni la prima volta che hai tentato di scappare, non oso nemmeno immaginare cosa potrebbe succederti se il fatto dovesse ripetersi. Ti preferisco vivo e vegeto ma rinchiuso, che saperti morto ma fuori dal Saint Jude».

«Non è una decisione che spetta a te, Camila» rispose lui severo.

La ragazza si pietrificò. Non era una decisione che spettava a lei?! Aveva sentito bene? Con che coraggio aveva osato risponderle in quel modo! Quando Camila riprese a parlare, il suo tono era spaventosamente calmo e controllato, ma anche incredibilmente glaciale. «Tecnicamente non è una mia decisione, hai ragione. Ma se ti aspetti che resti qui a guardarti mentre cerchi di rovinarti la vita, ti sbagli di grosso. Ho creduto di averti perso già una volta, non mi va di ripassarci. Inoltre ti ricordo che quando ti proposto questa follia per la prima volta, mentre eravamo seduti nella chiesetta, tu hai messo un muro tra di noi perché pensavi che se non avessi accettato di seguirmi ti avrei lasciato indietro. Vuoi davvero essere così ipocrita ed andare contro le tue stesse parole?».

Camila non lo poteva vedere, ma Shawn dall'altra parte della parete era disperato. No sapeva che fare. Aveva gli occhi serrati e la testa tra le mani, e inconsciamente si stava tirando i capelli. Prima che Camila arrivasse a sconvolgere il suo mondo, si era codardamente arreso all'idea di dover passare tutta la sua giovinezza tra le mura del vecchio collegio. Ma ora che aveva assaporato uno sprizzo di libertà non era intenzionato a tornare indietro e continuare a sottostare alle regole malsane di quel posto. Shawn voleva la libertà, la spensieratezza, voleva vivere! Ma sapeva che la sua ragazza aveva ragione. Che senso avevano tutte quelle cose se non poteva condividerle con lei? Inoltre chi voleva prendere in giro? Non sarebbe mai stato in grado di lasciare indietro in quel covo di matti l'amore della sua vita. Se solo avesse provato ad ascoltarlo però, Camila avrebbe potuto capire che non ogni speranza era perduta. 

La conversazione sarebbe dovuta proseguire, ma in lontananza i due giovani udirono il familiare ticchettio di suole veloci avvicinarsi, quindi si zittirono immediatamente. Il rumore del chiavistello arrugginito riempì la piccola stanza, mentre la pesante porta in ferro veniva spalancata. Sulla soglia della cella di Camila, si ergeva imponente la figura della sorvegliante, che sfoggiava in viso un'espressione indecifrabile. Il suo sorriso era rassicurante e gentile, ma i suoi occhi nascondevano una certa tristezza e preoccupazione.

«Andiamo Camila» le disse, facendo un cenno con la testa.

«Posso già fare un'altra doccia?» chiese meravigliata la ragazza con gli occhi che le brillavano.

La signorina Eselmeister scosse la testa. «No, sono venuta a tirarti fuori di qui».

Sentendo quelle parole, Camila scattò in piedi e con passo insicuro ma veloce si fiondò fuori dal luogo della sua prigionia. La ragazza irradiava felicità da ogni poro. Pareva essere rinata. Scalpitante, attese che la sorvegliante aprisse anche la cella di Shawn, ma quando vide che la donna non aveva intenzione di fermarsi, si congelò sul posto.

«Signorina Eselmeister! Si sta dimenticando di Shawn!» esclamò con una vocina piccola che ricordava vagamente quella di una bambina smarrita e confusa.  

Le spalle della sorvegliante persero la loro rigidità e quando la donna mostrò il viso nella direzione di Camila, la ragazza poté vedere che il sorriso di prima era mutato in una linea affranta e sconfitta. «Mi dispiace, Camila, ma Shawn non ha ancora ottenuto il permesso di uscire».

Camila scosse la testa con decisione e puntò i piedi per terra. «No, se lui non esce di qui con me, allora io torno in quella stanza ad aspettare che anche lui venga liberato».

La ragazza si aspettava di sentire delle lamentele da parte della donna, ma evidentemente c'era qualcun'altro che doveva dire la sua. «Mila, non essere sciocca». La voce di Shawn arrivò attutita alle sue orecchie. «Io starò bene, nulla che non abbia già passato. Anzi, saperti fuori di qui mi renderebbe molto più sereno».

Camila appoggiò le mani sulla superficie metallica della porta. «Ma tu sei qui! Non è giusto! Io sono molto più colpevole di te, dovrei essere io quella con la punizione peggiore!»

Poi si rivolse alla sorvegliante per ripetere il concetto con più convinzione. «Sono io quella che dovrebbe essere punita, non lui. Shawn non merita di stare qui dentro!».

«Camila, smettila!» intervenne lui alzando la voce. «Vattene da questo buco e smettila di preoccuparti per me. Non opporti a ciò che ti viene detto di fare, in ogni caso non hai scelta. Se il direttore ti vuole fuori di qui, vuol dire che tu starai fuori di qui. Non c'è niente da discutere».

Shawn aveva parlato con fermezza e categoricità e normalmente Camila si sarebbe offesa nel sentirsi sbraitare contro degli ordini. Ma la verità era che Shawn aveva ragione e, per quanto lei avesse cercato di opporsi, non sarebbe riuscita a concludere molto. Sospirò rumorosamente e parlo con voce sommessa. «Ti prego, dimmi che starai bene».

«Starò bene, Mila. Non ti preoccupare» rispose lui dolcemente.

«Ti aspetterò Shawny, ti aspetterò per tutta la vita se necessario».

«Lo so, Mila. Ora va. Sono sicuro che ci rivedremo presto».

Lentamente, la ragazza si allontanò dalla pesante porta che la divideva dal suo ragazzo e con il cuore che le doleva seguì i passi della donna che le stava restituendo la libertà. Percorrere quel corridoio con la consapevolezza che non sarebbe più dovuta tornare in quella cella (o almeno così sperava) le aveva fatto venire la pelle d'oca. Stava provando emozioni contrastanti. Da un lato era innegabilmente sollevata di poter tornare a vivere in mezzo agli altri ragazzi - nonostante li considerasse tutti dei gran buffoni - ma dall'altra non poteva fare a meno di smettere di pensare a Shawn. Quanto tempo avrebbe dovuto passare ancora lì dentro? Come avrebbe passato tutto il suo tempo ora che non poteva nemmeno più parlare con qualcuno? Sarebbe davvero riuscito a sopportare tutta quella situazione da solo? Camila aveva così tanti dubbi che la testa cominciava a girarle, ma non le restava altro che sperare che il suo ragazzo fosse abbastanza forte da riuscire a superare tutte quelle sfide. 

Saint Jude Institute || ShawmilaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora