8.

144 12 0
                                    

Era domenica e Camila stava iniziando il suo quattordicesimo giorno di reclusione. Sebbene i giorni fossero passati in fretta, la ragazza non poteva far altro che lamentarsi del luogo in cui si trovava. Aveva iniziato la settimana precedente intenzionata ad affrontarla in modo positivo, ma il suo spirito era stato abbattuto in fretta, ed ora era sempre più convinta che quel collegio fosse una sorta prigione.

Sapeva che quella domenica era una giornata particolarmente difficile da affrontare e si era alzata dal letto con l'umore nero. Forse la stava vivendo con troppa emotività e probabilmente si stava comportando con fare infantile, ma non poteva evitarlo. Il settimo giorno della settimana era quello più permissivo nei confronti degli alunni del Saint Jude, ma quella che agli occhi degli altri ragazzi era una libertà, per Camila era un castigo. L'istituto dava la possibilità di fare una telefonata di massimo dieci minuti a qualcuno, così da poter restare in contatto con il mondo esterno e con i propri familiari. La domenica precedente era stata presa alla sprovvista dalla notizia e aveva passato tutta la mattinata da sola a guardare gli altri ragazzi mentre parlavano con i loro cari. E quel giorno la scena si sarebbe dovuta ripetere.

Seduta da sola sulle scomode panchine in pietra del giardino, Camila cercava di trattenere le lacrime sforzandosi di non pensare alla sua condizione pietosa. In quel covo di delinquenti, lei era l'unica a non avere nessuno da chiamare. Sua madre era stata chiara: non avrebbe dovuto telefonarle a meno che non ci fosse stato qualche problema. E con "qualche problema" la donna si riferiva ad una probabile espulsione o a un pericolo inevitabile. Se Camila avesse osato disturbarla solo per sentire una voce familiare o cercare un po' di conforto, sua madre avrebbe fatto una scenata. Camila era convinta che le avrebbe sbraitato contro per tutta la durata della chiamata, e voleva evitare di sentirla lamentarsi per dieci minuti.

Camila si sentiva una vera sfigata. Tutti li dentro potevano confidare su qualcuno al di fuori di quelle mura, tutti tranne lei. Persino quell'arpia di Rebekah aveva dei genitori a cui fare riferimento, com'era possibile?! Camila si sdraiò sulla panca con lo sguardo rivolto verso l'alto. Il cielo era di un azzurro brillante, ma il sole non si vedeva da nessuna parte, nascosto dietro un manto di nuvolette che le ricordavano delle pecore. Con quella visione non era difficile per la ragazza perdersi nei suoi pensieri. Rifletteva sul rapporto che aveva con sua madre ed era incapace di comprendere la rabbia che la donna provava nei suoi confronti. Era stata una figlia così pessima e cattiva da meritarsi quel trattamento? Se l'era chiesto molto spesso nel corso della sua vita, ma non si era mai data una vera risposta. C'era una parte di lei che si sentiva responsabile per il pessimo rapporto che aveva con la donna, ma l'altra metà di sé si era convinta che la colpa fosse di sua madre. E anche di suo padre.

La donna era stata chiara sin da quando Camila ne aveva memoria: il suo concepimento era stato uno sbaglio e questo gliel'aveva ripetuto molto spesso. Sua madre era sempre stata una donna attraente, ma incredibilmente irresponsabile. Amava trascorrere le sue serate in bar squallidi a farsi pagare da bere da degli sconosciuti. E si sa che dopo qualche drink di troppo si elimina ogni inibizione. Così si lasciava accompagnare a casa dallo sconosciuto con cui aveva condiviso la serata, per concluderla tra le lenzuola. A Camila sarebbe piaciuto conoscere suo padre, ma il fatto era che la donna che l'aveva messa al mondo non aveva idea di chi fosse. La ragazza si era così convinta che il rancore che sua madre provava nei suoi confronti derivasse dal ricordo mancante dell'uomo che le aveva donato il DNA.

Camila era così assorta nei suoi pensieri che non si era accorta dei passi che si stavano avvicinando lentamente alle sue spalle. La visuale del cielo venne oscurata da un paio di occhi nocciola che spiccavano su un viso rilassato. «Se hai intenzione di fare una telefonata ti conviene metterti in fila» le disse Shawn.

Camila si ricompose ritornando a sedersi sulla panchina. «Non devo fare nessuna telefonata» rispose fredda mentre evitava lo sguardo del ragazzo che le si era seduto affianco. Non voleva essere sgarbata verso Shawn, ma non avrebbe tollerato a lungo la sua presenza se avesse deciso di darle sui nervi. Non era una buona giornata per farla innervosire.

Quando Shawn continuò a parlare, nella sua voce non c'era nessuna malizia, tanto che la sua domanda non la infastidì poi così tanto. «Davvero? Non hai voglia di sentire nessuno?».

Camilla, con lo sguardo rivolto verso terra, sorrise tristemente. «No, in realtà è il resto delle persone che non ha intenzione di sentirmi...». Shawn aggrottò le sopracciglia e aspettò che Camila continuasse. «Mia madre mi ha detto di non disturbarla».

«Puoi sempre telefonare a qualche amico».

Camila lo guardò con la coda degli occhi. «Già... Non c'è nessuno che abbia voglia di sentirmi dopo quello che ho fatto» disse alzando le spalle rassegnata.

Shawn si ammutolì provando compassione verso l'esile ragazza che gli faceva battere il cuore, e si chiese cosa avesse fatto di così grave per finire in quel modo. «Facciamo così: la prossima settimana chiamiamo assieme mia madre e te la faccio conoscere. Lo so che non è una proposta molto allettante, ma sono sicuro che mia madre sarà contenta di parlare con una mia amica. Anzi, probabilmente farà i salti di gioia: è convinta che qui dentro nessuno mi stia attorno». Pronunciò l'ultima frase ridacchiando, sperando di alleggerire un po' la tensione.

Camila gli sorrise spontaneamente. «Così siamo amici?» gli chiese, nelle sue parole una punta di stupore.

«Puoi giurarci! Voglio dire, sempre che tu lo voglia, anche se non crederei al contrario. Sono troppo irresistibile persino per te!».

La ragazza rise. «Mi piacerebbe molto essere tua amica, Shawn».

Quelle parole avevano scaldato il cuore del ragazzo, ma allo stesso tempo gli avevano fatto male. Se Camila lo vedeva solo come un amico questo escludeva la possibilità per lui di essere qualcosa di più.

Saint Jude Institute || ShawmilaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora