Prologo

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REVISIONATO

♥︎♥︎♥︎

Era una corsa contro il tempo, lo sapeva bene, ma doveva provarci. Non poteva assolutamente permettere che finissero nelle mani dei Mangiamorte.

Lanciò uno sguardo ai due fagottini di coperte che giacevano poco distanti da lei contro il muro spoglio e rovinato di quel nascondiglio, dove ormai vivevano da più di un anno.

Così diversi tra loro quei due visini, così diverso l'azzurro dei loro occhi, così diversi i lineamenti delle guance e il taglio delle palpebre, seppure terribilmente simili.

Tirò più forte il masso che chiudeva il piccolo incavo del muro, ma quello non si mosse.

Aveva le dita graffiate dalle affilature della pietra, i polpastrelli le dolevano e un rivolo di sangue colava sul palmo destro.

I capelli, biondissimi, le ricadevano fastidiosi intorno al viso, imbrattati di tutta la polvere accumulata in quei mesi.

Passò una mano sul volto, disperata, sentendo il liquido viscoso trasferirsi dalla mano alla fronte già impregnata dal sudore.

Sentiva i passi rimbombare dal piano di sopra, rapidi e decisi stivali neri che aveva imparato a conoscere bene negli anni.

Stavano arrivando, erano sempre più vicini a lei, a loro.

Ricominciò a tirare con le mani che pulsavano dal dolore, le nocche bianche per la stretta e le gocce fredde del sudore che percorrevano la colonna vertebrale.

«Che succede?»

La bambina dai capelli neri, la più grande delle due, si era liberata dal bozzo di coperte in cui l'aveva avvolta e la fissava con la fronte aggrottata. Materialmente, non le somigliava molto ma c'era quel qualcosa che la spingeva a tenerla stretta a se, quel qualcosa che le accomunava.

«Stai ferma!»

Le intimò sottovoce continuando a tirare forte. Il masso si era spostato di qualche centimetro, ma non era di certo abbastanza perché potesse infilarci le due bambine.

«Che stai facendo?» insistette la piccola avvicinandosi. Era testarda, quella bambina, e lei lo sapeva bene perché lo era anche lei. «Perché c'è quel sangue?»

A differenza di quanto ci si sarebbe aspettato, non era paura quella nella sua voce. Quella bambina non si spaventava a viste del genere. Quella bambina era cresciuta troppo in fretta, lo pensava sempre, condannata ad una vita violenta, schierata dalla parte sbagliata di una terribile guerra fin dalla più tenera età. Non aveva nemmeno mai stretto tra le braccia un pupazzo o una bambola, come invece faceva in quel momento l'altra bambina, quella dai capelli biondi, ancora avvolta nel suo fagotto.

Di scatto il masso rotolò di lato e la ragazza si alzò. La pietra le era finita sul piede, graffiandola anche lì, ma poco importava.

Corse verso la bambina bionda e la prese tra le braccia, un'ultima volta. Lasciò scorrere gli occhi sul volto piccolo e pallido, ingrigito da quella sorta di prigionia che l'aveva accompagnata per tutta la sua breve vita.

Si era preparata a quel momento, sapeva che sarebbe arrivato, che prima o poi avrebbe dovuto lasciarle andare. Ma non ce la faceva.

Accarezzò un'ultima volta la guancia paffuta della bambina che teneva tra le braccia. La bambina bionda era forse un tantino più robusta di quanto alla sua età dovesse essere. Sfiorò con le dita sporche di sangue i radi filamenti dorati che si diradavano disordinati dalla testolina fragile.

I passi si facevano più vicini. Se fosse stato qualcun altro ad essere incaricato di ucciderla, probabilmente non avrebbe avuto paura, forse avrebbe anche tentato di affrontarlo. Ma quei passi li conosceva bene, aveva sentito passi identici per tutta la vita. Se era proprio lei che stava arrivando, e ne era più che sicura, non aveva via di scampo.

|| Ive Lestrange, Icy Queen Of Snakes||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora