Un viaggio probabilmente seza ritorno

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Sono chiuso in una delle stanze all'interno del palazzo di giustizia e aspetto che qualcuno venga a dirmi ciò che voleva che io ricordassi come ultime sue parole, ma non viene nessuno. Gli altri tributi hanno la fila fuori dalla porta. Parenti e amici che vanno a dire 'addio', ma io ho solo mia madre che probabilmente è troppo sconvolta per...
-"Haymitch!" Mia madre corre da me in lacrime e mi stringe forte.
Non sembra avere molta fiducia in me, ma cosa pretendo? È mia madre, ha la mente completamente annebbiata dalla preoccupazione. In secondo luogo non ho possibilità di vittoria.
Arrivano i pacificatori che accompagnano mia madre fuori e me al treno. All'interno è tutto foderato in legno con tende pesanti ai finestrini e tappeti per terra. Raggiungo il vagone ristorante dove quattro tavolini sono stati apparecchiati con posate d'argento e centrotavola di rose bianche. Tre sono occupati dai tributi del mio distretto che non pensano ad altro che al cibo nel loro piatto. Mi dirigo verso il tavolo rimasto vuoto e mi siedo dando la schiena ai tre ragazzi mettendomi la testa fra le mani.
Non mangio niente di quello che mi viene offerto dai camerieri muti. Sbocconcello un po' di pane per fare qualcosa, non per fame. Il treno parte facendo sussultare i piatti e le posate dopodiché prende sempre più velocità. A fine "pasto" vengono sparecchiati i tavolini e la signora della mietitura entra dalla porta scorrevole in fondo al vagone.
-"ragazzi, ora vorrei presentarvi il vincitore dei quarantaduesimi Hunger Games: Gladwin Howard"
L'uomo che si presenta alla porta non ha per niente l'aria di un assassino spietato. I capelli neri portati all'indietro non rispecchiano esattamente l'immagine di 'uomo virile' e neanche la camicia rossa infilata nei jeans a vita alta. Rimango zitto per evitare che dalla mia bocca possano uscire parole che lo potrebbero offendere.
Rivolgo lo sguardo verso Maysilee che fissa il tavolo come se non si fosse accorta delle presenza dell'uomo che ci avrebbe potuto tenere in vita due ore in più. La donna esce dal vagone seguita dal ticchettio caratteristico delle sue scarpe e ci lascia soli con Gladwin.
-"come hai vinto?" Chiede Clody.
L'uomo si siede su una poltrona e dopo essersi acceso una sigaretta dice:
-"beh, eravamo rimasti in cinque e quando ci incontrammo ci fu un'improvvisa frana che uccise quattro di noi, ed eccomi qua" spira il fumo e l'ambiente si riempie del suo odore soffocante. È chiaro che aveva pagato fior di quattrini per corrompere gli strateghi perché tutto ciò che succede nell'arena è perfettamente ragionato, nulla è casuale.

Mi chiudo la porta dello scomparto alle spalle e mi siedo sul divanetto foderato di velluto verde smeraldo. Fisso lo sguardo fuori dal finestrino pensando a cosa mi aspetta.
Quarantotto tributi sbattuti in un ambiente ostile con il terrore della morte incombente. La dura lotta per la sopravvivenza, la fame, la sete... tutti sotto gli occhi divertiti degli abitanti di Capitol City che non aspettano altro che vedere combattimenti violenti e morti strazianti. D'un tratto sento la maniglia della porta abbassarsi e quando mi volto vedo la ragazza dai capelli biondi, Maysilee, che avanza verso di me. Distolgo lo sguardo quando lei mi si siede accanto.
-"tu sei Haymitch, vero?"
-"come se non avessi assistito anche tu alla mietitura" dico con gli occhi fissi a terra.
-"credimi, avrei voluto non assistere" dice seria appoggiandosi allo schienale.
Non dico altro e ritorno a guardare fuori dal finestrino fino a quando non sento il suo respiro farsi più pesante e regolare. Mi giro e la vedo addormentata. Mi soffermo a guardarle le mani. Mani delicate, mani di una ragazza che non è costretta a lavorare per guadagnarsi da vivere, mani che probabilmente hanno sempre maneggiato cose fragili.
Il treno sussulta e il paesaggio ferma la sua avanzata frenetica verso la città.
Io e i tributi accompagnati da Gladwin scendiamo a prendere un po' d'aria prima di risalire a bordo.
Mi siedo sul gradino che separa la banchina dalle rotaie e comincio a calciare la ghiaia.
-"ciao" ha parlato Charles. Un ragazzino minuto dai capelli corti neri e dai grandi occhi verdi.
-"ciao" mi sforzo di sorridere.
-"hai paura?" Mi chiede accovacciandosi di fianco a me."perché io ne ho tanta, sai ho visto come sono cattivi là. Mia sorella ci è andata l'anno scorso." Stranamente non ha la voce intaccata dal pianto, cosa che succederebbe a chiunque mentre parla di una cosa dolorosa come la perdita di un familiare stretto.
-"è per quello che tua madre ha..."
-"cercato di portarmi via? Si. Per me è stato più un gesto simbolico... Perché non poteva sopportare di perdere un altro figlio..."
Si rimette in piedi e infila le mani nelle tasche della salopette. "E tu?"
-"mia madre era a casa, non sopporta l'idea di assistere alle mietiture. Ogni anno vado da solo."
-"beh c'è un lato positivo, comunque andrà a finire non dovrai più assistere a nessuna mietitura." Detto questo gira su se stesso e corre verso il treno.
-"giovanotto, dentro" mi dice Gladwin con aria superiore.
Mi alzo come sempre senza dire una parola e mi incammino verso i vagoni.

50° Hunger GamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora