Capitolo 20

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Passano così le mie giornate. Tra università, lavoro e incontri per tossicodipendenti.
Ormai è un loop che non ha fine.

Non esco più con nessuno, fatta eccezione per quando mi trovo con alcuni amici di Jonathan per 'fare scorta' (sapete di cosa parlo!).

Mi annoio molto e la mia testa non fa altro che pensare a tutti i momenti più tristi della mia vita. Scene della mia infanzia si fanno spazio nella mia mente.
Come quella volta a scuola che Sharon, la bambina più antipatica, prese dalle mie mani la merenda e mi fece cadere a terra procurandomi così delle lesioni leggere alle mani. Inoltre, mi si sporcarono i pantaloni, quindi, tutti i miei compagni mi presero in giro. Ritornai a casa e raccontai l'accaduto a mia madre che a sua volta lo raccontò a mio padre. Infatti, come lo seppe venne in camera mia dove stavo giocando con le bambole. Mi alzò da terra e mi urlò in faccia "Non sai neanche difenderti! Così disonori ed oltraggi il cognome dei Black!" Tutto questo mentre mi diede delle frustate con la cintura che aveva in mano. Io lo pregai di fermarsi ma lui continuò. Ogni frustata sempre più forte. Non si limitò a farlo nella parte dei glutei ma anche sull'addome, sulle braccia e perfino in viso.
Il giorno dopo andai a scuola e tutti mi guardarono in modo strano, standomi alla larga. Un livido si espanse sullo zigomo destro e sempre nel labbro inferiore destro avevo un taglio che si aprì nel momento in cui parlavo.
Nessuno si permise di chiedermi cosa avevo fatto, nemmeno le maestre oppure le mamme che aspettavano i propri figli fuori da scuola. Questo perché già in passato quando mi presentavo con i lividi, mia madre giustificava il fatto dicendo che cadevo sempre giocando.
Però le persone sapevano chi fosse la mia famiglia e che non si potevano mettere contro, vista l'influenza che avevano i miei genitori.

Il sangue mi ribolle sulle vene per la rabbia quindi decido di andare a fare un giro in moto. Inizio a guidare e ad ammirare il paesaggio magnifico di Roma.
Mi fermo in un parco poco più in là del Colosseo. Trovo una panchina abbastanza appartata e me ne sto seduta con le cuffiette e con la musica al volume massimo osservando il vuoto.

**

Vengo interrotta da un gorgoglio proveniente dal mio stomaco. Guardo l'orario sul telefono e mi rendo conto che sono già le 19:30.
Mi dirigo verso la moto e parto fino alla pizzeria più vicina al parco.
Ne trovo finalmente una e ordino una semplice margherita. Pago ed attendo al di fuori del locale mentre mi fumo una sigaretta.
Qualcosa attira la mia attenzione o, meglio ancora, qualcuno. Dall'altra parte della strada vedo quella chioma riccia che riconoscerei ovunque ed affianco ad essa una chioma bionda: Eva e Jonathan. I due stanno guardando un negozio di abbigliamento. Jonathan deve aver fatto una battuta perché Eva inizia a ridere e nel mentre lo abbraccia.
La rabbia che ero riuscita a placare precedentemente si è rifatta viva.
Butto a terra il mozzicone di sigaretta, salgo sulla moto e lascio là la pizza.

**

Non voglio ritornare a casa, ma non so nemmeno dove andare. In quel momento mi viene in mente una persona che può farmi distrarre. Così mi reco verso la biblioteca.

**

Sono le 20:15 e tra un quarto d'ora chiudono. Quindi, corro dentro all'edificio, faccio le scale e mi blocco all'entrata della libreria per cercarlo. Lo intercetto e corro verso la sua direzione ma nel mentre si gira di colpo e io mi blocco quasi andandogli addosso.
"Ehi... ehm... cosa ci fai qua?" Mi chiede sempre con il sorriso James mentre mette apposto dei libri.
Prendo fiato, non sono più abituata a correre.
Vede che faccio difficoltà quindi mi dice "senti io tra dieci minuti stacco. Vuoi aspettarmi giù all'entrata così io chiudo qua?"
Faccio un cenno di consenso con la testa e mi siedo su una poltroncina al piano inferiore.

**

Passano velocemente 10 minuti.
James scende le scale e mi sorride.
"Bene, possiamo andare" mi dice mentre stacca il cartellino con il suo nome dalla felpa e lo posiziona sopra al banco della segreteria.
Mi alzo dalla poltrona e lo seguo al di fuori della biblioteca. Mi reco verso la moto.
"Wow!" Esclama meravigliato e dal suo volto noto un po' di stupore.
"Dai dillo 'ma sei veramente capace?' " e ridiamo assieme.
"Perché non dovresti esserne capace? Solo perché sei donna non significa nulla." Sono ammirata dal suo modo di pensare.
"Sai ogni volta vengo sminuita perché sono femmina. Forse è per questo che ho sempre fatto tutto l'incontrario di come dovrebbe comportarsi una donna." Mentre parlo iniziamo ad incamminarci per una meta non definita.
"Non conosco la tua storia ma ogni cosa che facciamo nella vita ha un senso. Hai avuto le tue ragioni se adesso sei quello che sei."
Più lo guardo e più capisco quanto genuino è questo ragazzo.
Guardo i suoi movimenti. Cammina stringendosi nelle spalle e porta le mani sulle tasche dei jeans.
Passiamo qualche minuto in silenzio.
"Dove stiamo andando?" Interrompo il silenzio.
"Hai fame?" Mi chiede guardando l'orologio.
"Devo dire che sto morendo dalla fame" e rido al ricordo della pizza non mangiata.

**

Abbiamo comprato una pizza ciascuno e ci siamo seduti su un posto dove di giorno viene usato per fare skateboard.
"Allora, di dove sei?" Chiedo a James mentre mangio uno spicchio di pizza.
"Melbourne, Australia. Tu?"
"New York"
"Ah! La Grande Mela" e ridiamo.
"Come mai dall'Austria sei venuto fin qua?" Chiedo curiosa.
"Uno dei miei più grandi sogni era di andare all'estero, ad abitarci. Peccato che si è espresso grazie ad un problema famigliare. Un giorno, magari, te lo racconterò." Alla penombra riesco comunque a vedere il suo splendido sorriso ed i suoi occhi celesti.
"Bhe almeno si è avverato il tuo sogno" cerco di alleviare il discorso.
"Si, ma avrei preferito non accadesse così."
Non so cosa rispondere quindi bevo un sorso della birra comprata in pizzeria.
"Allora Nives, come mai sei venuta a cercarmi?" Chiede guardandomi negli occhi.
"Mi sono appena accorta che io e te non ci siamo mai presentati veramente!" Spalanco gli occhi per quanto stupida io sia.
"Tranquilla, lo avevo capito alla festa del tuo compleanno. Certo, devo dire che mi hai fatto un po' penare per saperlo ma l'importante è che adesso lo so." Ridiamo assieme.
Nonostante questo non so cosa rispondere alla sua domanda. Sento che posso essere sincera con lui quindi gli dirò la verità.
"Comunque c'è questo ragazzo..." e vengo interrotta.
"Ah allora stiamo parlando d'amore!" Dice James divertito.
"No, ma che dici! È che è stato il primo ragazzo che ho conosciuto qua in Italia. Siamo sempre stati cane e gatto ma comunque c'era una certa sintonia tra di noi." Faccio una breve pausa e poi riprendo "Alla festa del mio compleanno, però, l'ho beccato con la mia migliore amica. Non ho parlato più con nessuno dei due e oggi li ho rivisti assieme ed erano così felici. Non sapevo cosa fare e dove andare e sei stato il primo a venirmi in mente." Quando gli racconto il tutto guardo dritta davanti a me, senza guardarlo in faccia.
"E a te dispiace che questo sia accaduto? Cioè tra la tua migliore amica e il ragazzo?"
"La cosa che mi fa incazzare è che non hanno detto nulla. Hanno fatto tutto alle mie spalle."
"Io penso che magari non te lo hanno detto perché ti conoscono e sapevano come l'avresti presa. Sei una persona molto impulsiva e non potresti sapere come avresti reagito se te lo avessero detto. Forse l'avresti presa male come adesso."
Forse ha ragione. O forse no. Ma resta comunque il fatto che mi hanno tradito.
Alla fine riesco a trovare il coraggio di poggiare i miei occhi su quelli di James.
Qualcosa ritorna alla mente.
"Ma noi ci siamo già conosciuti prima del nostro incontro in biblioteca!" Mi alzo in piedi e mi metto le mani fra i capelli.
"Che figura di merda!" Inizio a ridere come una matta.
James non sa di cosa io stia parlando. Si alza pure lui e mi viene incontro.
"Cioè?" Mi chiede.
"Una sera pioveva fortissimo. Stavo andando a casa ma in un pezzo di strada sono caduta. Per mia fortuna è arrivata una persona ad aiutarmi. E quella persona sei tu!"
James ci pensa un po' e poi capisco dalla sua espressione che gli è venuto in mente l'accaduto.
"Certo, che scemo!" Si rimprovera stringendo il pollice e l'indice sul collo del naso, strizzando gli occhi chiudendoli.
"Ma è possibile che con te faccio solo che figure di merda?!" E ci mettiamo a ridere.
"Sapevo di aver già visto il tuo volto ma non sapevo proprio dove. Ti chiedo scusa." E ridiamo.

**

La serata si conclude mentre James mi accompagna fino a casa, visto che è a due passi dal parco di skate, portando con sé la moto.
"Sei sicuro di non volere un passaggio fino a casa? Lo faccio volentieri." gli chiedo.
"Tranquilla, non abito molto lontano."
"Va bene... allora... io abito qua" indico il palazzo.
Noto che il suo corpo ed il suo volto si sono irrigiditi e non capisco il motivo. Non ci faccio tanto caso e continuo "ci vediamo James" prendo dalle sue mani la mia moto e mi sorride "buonanotte Nives."

***

SPAZIO AUTRICE:
Buonasera a tutti e scusate l'orario 😅
Come state? Finalmente è finita la scuola. Non vedevo l'ora iniziasse il periodo estivo per stare in relax.
Che cosa pensate di come si sta evolvendo la storia?
Vi ringrazio delle visualizzazioni che crescono giorno per giorno. Vi invito a mettere qualche ⭐️ e se vi va lasciate dei commenti.
Andate anche a seguire la mia page blackkphoenixx e ci vediamo alla prossima.

Phoenix

Hai sconvolto la mia vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora