uno

248 28 26
                                    

Il buio, era l'ultima cosa che ricordavo.
Probabilmente, pure un tonfo secco dovuto alla mia caduta sul pavimento.

Quando mi svegliai, la testa pulsava e mi faceva un male tremendo.
Aprii un occhio alla volta, e mano a mano delle immagini nitide apparvero attorno a me; c'erano una scrivania, delle bandiere americane appese al muro, accanto a qualche medaglia.

Improvvisamente, ricordavo tutto.
Ricordavo come io ed i Clark eravamo stati catturati dai soldati americani, al confine,mentre cercavamo Nick. Ricordavo di essere svenuta in seguito ad un colpo alla testa, e probabilmente erano stati proprio i soldati stessi a portarmi in quella sottospecie di ufficio in cui mi trovavo.

In realtà, ero sorpresa; a giudicare dalla brutalità con la quale eravamo stati trattati e catturati, non avrei mai pensato che mi avrebbero portata in un luogo tanto tranquillo.
C'era decisamente qualcosa che non andava.

Provai a muovermi, realizzando di essere stesa su un piccolo divano in pelle nera.
Delle fitte alla testa mi fecero gemere per il dolore, ma riuscii ugualmente ad alzarmi.
Iniziai a girovagare lentamente per la piccola stanza, e ovviamente potei constatare che la porta era chiusa a chiave dall'esterno.

Strano luogo dove tenere qualcuno rinchiuso, pensai.
La mia ansia saliva ogni istante di più; perché mi avevano portata lì? Cosa potevano volere da me? Ma soprattutto, dov'erano i Clark? Madison, Alycia, Travis; stavano anche loro rinchiusi uno ad uno in un ufficio?

Le lancette di un'orologio da muro emettevano l'unico rumore presente nella stanza.
Trattenni il respiro; potevo udire dei rumori, da fuori, delle voci maschili. Urli, comandi, spesso risate.
Rimasi lì ad ascoltare per almeno una decina di minuti, non sapendo minimamente come comportarmi.
Sapevo solo che perdere la calma avrebbe scatenato sicuramente qualcosa di ancora meno piacevole; ero fortunata ad essere lì, in fondo, anziché in una cella. Ero fortunata anche solo ad essere viva, date le circostanze.

Diciamo che un'apocalisse Zombie cambia la tua visione di tutto, ed impari ad apprezzare ogni piccola cosa che ti viene concessa.
O guardi e pensi positivo, o muori e rinasci uccidendo a tua volta.
Quello era il nuovo mondo, ormai, e riconoscerlo era l'unica forza di cui mi potevo armare.

Ad un certo punto, sentii dei rumori nuovi. Sembravano dei passi, sempre più nitidi e vicini.
Infatti, pochi istanti dopo, qualcuno aprì la porta del piccolo ufficio, facendomi sobbalzare leggermente per la sorpresa.
La figura che si presentò di fronte a me, richiudendo la porta alle sue spalle, era quella di un ragazzo alto, con occhi azzurrissimi ed i capelli biondo cenere corti un po' spettinati.
Teneva tra le mani un grande mazzo di chiavi ed un bicchiere di carta, ed indossava una tenuta militare.

-Ti chiedo scusa per l'attesa-, sorrise lo sconosciuto, fin troppo calorosamente.
Mi limitai a squadrarlo dall'alto in basso, senza lasciar trasparire alcuna emozione; sentivo di avere i nervi a fior di pelle, come se fossi sul punto di scoppiare, urlare e fare mille domande.
Incrociai le braccia, mentre lui poggiava tutto ciò che teneva tra le mani sulla scrivania.
Poi, indicò il bicchiere con un cenno  della mano.
-Il caffè è ancora caldo. Non c'è lo zucchero, ma posso andare a prenderlo se preferisci-

Mi stava seriamente offrendo del caffè?

-D'accordo-, mormorai.
-Non so che razza di scherzo di pessimo gusto sia questo, ma non ho intenzione di cascarci come un'idiota-
Lui sembrava colpito dalla mia affermazione, tanto che rise leggermente, scuotendo la testa.
-Non ti piace il caffè, immagino. Beh, è un peccato, perché la macchinetta qui fuori lo fa davvero ottimo-
Ok, mi stava letteralmente prendendo per il culo.
Rimasi lì a fissarlo, in silenzio, e lui fece lo stesso per un po'.
Dopo qualche minuto, sospirò.

Criminal~Troy OttoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora