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Appena atterrata a Londra, reduce da un volo che partiva dall'aeroporto di Boston fino ad arrivare nella città freddolosa, la prima cosa che facciamo io e mia madre è prendere i nostri bagagli e salire su un taxi. Direzione Saint Barbara Hospital.
Durante il viaggio in macchina il mio sguardo è fisso sull'esterno, mentre il venticello mi accarezza i capelli biondi.
Le foglie cadono secche dagli alberi, toccando delicatamente terra, stanche di lottare per rimanere in bilico su un albero che non le vuole più. Cadono solo per trovare un po' di conforto una volta a contatto con l'asfalto, ma qualcuno non curante della loro presenza, troppo in fretta verso mete sconosciute agli altri, le calpesta, sgretolandole.
Io, Diana Gilbert, sento la mia vita venir strappata via fra le mani proprio come le foglie che si staccano dagli alberi perché troppo deboli per rimanere impigliate su di essi.
La mia vita fa lo stesso, si stacca da me perché troppo debole per rimanere impigliata nel mio corpo.
Essere affetta da fibrosi cistica non è una passeggiata, come tutte le malattie terminali. E l'adolescenza è solo un lusso che qualcuno da lassù mi sta donando.
Perché le persone sane devono solo preoccuparsi del fidanzato che le lascia, dell'amica che le tradisce o di un brutto voto a scuola, ma queste sono piccolezze che la vita vi dà per farvi crescere.
Per quelli come me, beh, è già tanto se riusciamo a respirare.
Per chi non lo sapesse, la fibrosi cistica è una malattia che induce il tuo corpo a produrre più muco. Questo muco chiude i bronchi e porta a infezioni respiratorie, ostruisce il pancreas e impedisce che gli enzimi pancreatici raggiungano l'intestino.
E non c'è una cura, al momento.
Questo lo so perché essere affetta da una malattia ti porta ad essere una pagina di Wikipedia, ricordi ogni virgola, ogni punto e ogni sillaba provenienti dalla sfilza di siti web che ne parlano.
Eppure, molte persone ignorano tali malattie.
E sinceramente, non spero nemmeno più di poter essere presente all'uscita di un farmaco o di qualsiasi altra cosa in grado di aiutare quelli come me. Perché il mio corpo, negli ultimi mesi, sta reagendo negativamente al percorso medicinale che sto affrontando.
I nuovi farmaci non funzionano e Doth e Clara, le mie due infermiere di fiducia, non sanno più cosa fare. Ed io ne so meno di loro, posso essere un Hermione Granger riguardo le malattie terminali, ma non so cosa ne sia della mia vita giunta a questo punto del mio percorso.
Per questo adesso sono diretta verso Londra, dove c'è un medico che forse e sottolineo forse è in grado di aiutarmi.
Credo si chiami, se non sbaglio, George Jones. O qualcosa di simile.
«Tesoro, stai bene?» Giro la testa e guardo mia madre stanca, con addosso tre ore di sonno a causa mia. Sul mio volto compare un'espressione accigliata, maledicendomi per star facendo subire la mia malattia anche all'unica persona che voglio bene.
«Sì, mamma.» Guardo bene il suo viso, ha una carnagione più scura della mia, i capelli biondi come i miei e le sue iridi sono scure. Fisicamente siamo così diverse, ma caratterialmente siamo due gocce d'acqua.
Lei mi dice sempre che ho preso tutto da mio padre...
Ma io non riesco a considerare padre qualcuno che non si fa vivo dal momento in cui sono venuta al mondo. So solo che mensilmente dà dei soldi a mia madre per poter pagare le spese farmaceutiche.
Che ipocrita.
Sarò strana io, ma penso che in realtà non abbia mai voluto avere a che fare con me. Sarò stato un peso enorme per lui.
«Sembri stanca...» Dice mia madre, ma io scuoto la testa in senso di negazione.
«Mamma, sto bene, davvero. Guarda.» Alzo di poco la felpa bianca, mostrando il sondino che anni fa è entrato a far parte del mio corpo e non s'è n'è mai andato.
Quell'aggeggio è stato il regalo di compleanno mentre ero a Dublino. Quel giorno mi dovettero fare una gastroscopia, dopo mi sono ritrovata un foro in corrispondenza dello stomaco e un sondino al suo interno. Il giorno prima, quando ho avuto la tragica notizia, devo ammetterlo, ho pianto così tanto da aggravare maggiormente la mia situazione.
Mia madre tira un sospiro lungo, riportando lo sguardo davanti a lei.
«E comunque... Siamo quasi arrivati» Annuncio guardando lo schermo del mio telefono. Google Maps indica la nostra posizione mentre ci spostiamo, portandoci, poi, venti minuti dopo, a destinazione.
«Siamo arrivate!» Esulta mia madre contenta ed esausta allo stesso tempo.
Il tassista parcheggia l'auto e mia madre scende per prendere le mie cose.
Inspiro profondamente, attraverso i tubi di plastica che finiscono nelle mie narici, l'aria data in prestito dalla bombola d'ossigeno ai miei piedi.
Prendo lo zaino contenente quest'ultima, me lo carico in spalla e scendo dall'auto, ringraziando il signore sulla cinquantina.
Mi guardo intorno e vedo solo un alto edificio bianco e azzurro davanti a me e un parcheggio immenso.
Che inizi la mia rinascita, o la mia morte.
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Two of us.
Romance"i'll be living one life for the two of us". Diana Gilbert è una ragazza affetta da fibrosi cistica e gliel'hanno scoperta quand'aveva sei anni, una vita intera passata in ospedali diversi, in città diverse, con amicizie diverse e con volti diversi...