CAPITOLO 11

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Il mattino dopo, quando Elettra si svegliò, Cinque non si trova più accanto a lei. Il ragazzo, infatti, era al piano inferiore, in cucina, a gustarsi un caffè. Era molto confuso. In quel momento l'apocalisse era la sua priorità, non poteva perdere tempo con Elettra e con ciò che suscitava in lui anche semplicemente la sua presenza. Non era mai stato innamorato di una persona: non conosceva neppure il significato di quella parola e tantomeno la sensazione che si prova in quei casi.  L'unica certezza che aveva era che tra lui ed Elettra c'era... di più. Non sapeva spiegare cosa, ma c'era. < Cazzo > disse esasperato, portando entrambe le mani all'altezza delle tempie e stringendo gli occhi chiusi. Dopo appena pochi secondi, sentì una voce alle sue spalle.                    < C'è qualcosa che non va? >. Il giovane tentò di apparire il più rilassato possibile. < No, nulla. Ben svegliata >, le rivolse il sorriso più convincente che potesse. Elettra si sedette di fronte a lui e cominciò a fissarlo. < Mi devi dire qualcosa per caso? > il tono sembrava infastidito, ma in realtà era solo curioso.  < Devo ancora capire se sia la scelta giusta o meno farlo > disse la giovane con un sorriso imbarazzato sul volto. Lui le prese la mano. Per quale motivo ora aveva questo vizio?  < Puoi dirmi tutto quello che vuoi Elettra. Io non ti giudicherò. > le disse con molta convinzione nella voce. La ragazza sospirò, mimò un 'fanculo' con le labbra e iniziò. < Va bene, allora. Sono consapevole che ci conosciamo solo da pochi giorni e so anche che molto probabilmente è un discorso affrettato; tuttavia, non posso più aspettare, devo assolutamente dirtelo. > Dallo sguardo del ragazzo la preoccupazione che provava in quel momento era chiara. < Quello che sto cercando di dirti, Cinque, è che ... io ... credo di provare qualcosa per te > continuò Elettra, pronunciando in maniera talmente veloce e sommessa l'ultima parte della frase che persino il ragazzo, a pochi centimetri di distanza, dovette concentrasi a fondo per comprendere le sue parole. Quello che precedette la risposta di Cinque fu un silenzio lungo e assordante, tanto che la ragazza con il potere dell'elettricità, divenendo rossa in volto, abbassò lo sguardo, continuando a ripetersi quanto fosse stata ingenua a rivelare in modo così diretto ciò che sentiva . Cinque, nel mentre, stava tentando di organizzare i pensieri che gli affollavano il cervello: sospettava che Elettra per lui fosse più di una semplice conoscente, ma in quel momento non poteva concedersi distrazioni; avrebbe dovuto volgere sia la sua mente che le sue forze all'incombente evento disastroso che si sarebbe verificato solo pochi giorni dopo. Perciò, come ormai faceva sin da quando ne aveva memoria, sacrificò la sua possibilità di essere felice per un bene superiore. < Ascoltami Elettra > disse con tono delicato, simile a quello con cui ci si rivolgerebbe a un cucciolo  spaventato < voglio essere sincero con te: attualmente mi è difficile capire ciò che provo nei tuoi confronti e sicuramente la situazione che stiamo vivendo non mi è d'aiuto. Dopo che sarò riuscito a salvare il mondo ne riparleremo con più calma, te lo prometto, ma per adesso è necessario che mi dedichi esclusivamente all'apocalisse. Riesci a comprendermi, vero? > Alla giovane si formò un nodo in gola che la privò anche della capacità di parlare. Nonostante fosse sicura sarebbe stata una pessima idea, aveva comunque avuto l'arroganza di rischiare, sfidare la sorte, quando in realtà era una lotta già persa in partenza. Cinque aveva utilizzato una catastrofe globale per tentare di occultare il fatto che non provava assolutamente nulla per lei. Nella sua mente si stupì per l'originalità della scusante. Rimase in silenzio per qualche minuto, mentre il giovane la scrutava in volto, in cerca di un qualsiasi segnale di assenso oppure di diniego. < Capisco perfettamente, non ti devi preoccupare > riuscì finalmente a rispondegli. Successivamente si alzò dalla sedia e, a passo spedito, si diresse verso la camera di Cinque per prendere i suoi vestiti. Non avrebbe avuto il minimo senso stare nella casa di un ragazzo che nemmeno voleva averla intorno. Mentre stava riponendo disordinatamente tutti i suoi indumenti nelle valigie, sentì dei passi sulle scale fino a quando non vide sulla soglia della porta della stanza il giovane, un'espressione confusa sul viso. < Dove stai andando? > < Mi sembra evidente, ritorno a casa mia. > Prese le valigie e uscì dalla stanza. Al termine delle scale che conducevano nell'atrio, però, si ritrovò Cinque davanti, con un ghigno sulle labbra. < Se per "casa" intendi quel cumulo di macerie, allora accomodati pure > ma in realtà le si parò di fronte, come per vietarle di uscire dalla sua abitazione. Elettra ci riflettè e non ci mise molto a constatare che il ragazzo aveva ragione. < Allora cercherò un altro posto. > disse caparbiamente. In seguito a un iniziale espressione di dissenso, Cinque si spostò di fianco, allungò il braccio e, con il palmo della mano aperto, indicò la porta < Prego, dunque >. Elettra guardò prima di fronte a sé, poi rivolse lo sguardo a Cinque, immobile nella stessa posizione e con un'espressione indecifrabile sul volto. Vinta dall'orgoglio, Elettra varcò la soglia della porta e, senza voltarsi indietro, la richiuse alle proprie spalle. Il giovane, intanto, continua a guardare l'ingresso, sperando, in segreto, di sentire il rumore del campanello o delle nocche della ragazza sul legno. Dopo una decina di minuti, si arrese.

MY LIPS, YOUR LIPS, APOCALYPSEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora