Cap IV

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Taehyung è uscito dalla stanza, lasciandomi sola con quelli che dovrebbero essere Jin e Namjoon.

"Spero che Tae ti abbia informato sul fatto che noi ti chiariremo le idee" domanda Jin, un giovane dai capelli scuri e le spalle larghe.

Rispondo con un breve cenno di acconsentimento, niente di più, niente di meno. Preferisco parlare il meno possibile.

Anche se Taehyung mi ha rassicurato dicendomi che non mi faranno del male, la tensione continua a scorrere nel sangue.

"Sappiamo molte cose riguardo tuo padre," afferma il biondo argentato.

"Tuo padre, tuo padre, tuo padre..." sussurro più volte queste parole tra me e me. Parole che conturbano il mio corpo, che viene percosso da un lungo brivido.

"Lo so, Y/n, che può essere difficile, ma—"

"Cosa sapete su mio padre?" chiedo insistentemente interrompendo Jin.

Involontariamente una lacrima scende dal mio occhio al solo pensiero di mio padre.

"Prima ti racconteremo tutta la nostra storia, così potrai capire meglio il legame con tuo padre," mi assicura Jin.

Così, Namjoon inizia a raccontarmi la storia di come sette ragazzini hanno affrontato il vero inferno.

"Ci trovavamo in un orfanotrofio con bambini che andavano dall'età di 3 ai 15 anni. Chi compiva i 16 anni andava a lavorare in qualche posto squallido assegnato dai dirigenti dell'orfanotrofio e doveva cavarsela completamente da solo: procurarsi cibo, un letto in cui dormire, un tetto sopra la testa e altri beni vitali.

Penserai che lasciare un ragazzino totalmente solo sia pericoloso, ma non finisce qui. I bambini in quel luogo venivano trattati peggio di schiavi.

Ai più piccoli venivano insegnate le basi della vita quotidiana: leggere, scrivere e fare semplici conti matematici. Naturalmente non era come la scuola di questi tempi. No, molto peggio. Chi faceva il minimo errore veniva punito con punizioni corporali. Ricordo che per un periodo girava voce di un povero bambino di 5 anni che, per aver sbagliato un articolo, venne punito con tre frustate sulla schiena.

I bambini più grandi, dai 9 anni in su, iniziavano a fare dei lavori all'interno dell'istituto. Solitamente, cucire e cucinare per le femmine e aggiustare strani giocattoli trovati in strada per i maschi. Anche in questo campo i ragazzini venivano trattati senza pietà, in modo sgradevole e ripugnante.

Naturalmente c'era pochissimo cibo e il tempo di riposarsi era molto ridotto.

I bambini venivano divisi in piccoli gruppi e io, fortunatamente, capitai con i miei sei compagni di vita.

Il più piccolo, Jungkook, aveva 9 anni, l'età per passare al 'secondo livello', e il più grande era Jin, che ne aveva 14.

Passammo un anno ad aiutarci l'un l'altro. Facevamo un ottimo lavoro di squadra, nonostante l'immane stanchezza di tutti i giorni.

Un anno passò velocemente e tra di noi iniziò a sorgere l'idea di scappare da quel posto orribile, anche perché Jin se ne sarebbe dovuto andare a momenti.

Progettammo per mesi un piano perfetto a prova di bomba che avremmo dovuto attuare pochi giorni prima del compleanno di Jin. Ricordo ancora la paura che ci pervadeva come fosse ieri.

Quella notte il piano riuscì e scappammo da quel posto orribile.

Dove finimmo? Semplice, per strada. Passammo mesi cercando di sopravvivere elemosinando qualche spicciolo, ma l'importante era che eravamo liberi e, soprattutto, uniti.

Venimmo notati da una donna che si prese cura di noi per il resto dei mesi, fino a quando il marito lo venne a sapere. L'uomo, che era un boss mafioso, stabilì la nostra condanna a morte.

La moglie convinse il marito a lasciarci in vita, ma dovevamo accettare una condizione: avremmo dovuto partecipare alle azioni illegali mafiose. Costretti, acconsentimmo all'ingiusta proposta e da lì entrammo nel giro mafioso.

Inizialmente dovevamo solo ripulire i corpi dei cadaveri o rimanere di guardia. Per un anno non prendemmo in mano le armi, finché il Boss decise di testare la nostra grinta.

A comando del Boss e a nostro malgrado, uccidemmo degli animali per fare pratica per un lungo periodo.

Distrutti psicologicamente, chiedemmo aiuto alla donna, rimasta a nostro favore per tutto il tempo, di farci scappare.

Lei chiamò tuo padre all'insaputa del marito. Lui ci ospitò in una seconda casa dove vivemmo per circa 3-4 anni e dove siamo tutt'ora." Finisce Namjoon.

Mio padre aveva una seconda casa dove ospitava questi sette ragazzi? Sconvolta dalla notizia mi blocco per un secondo, come fossi rotta.

Sembra tutto così surreale e doloroso. Hanno avuto un'infanzia difficile, con un susseguirsi di traumi.

La mia mente è caotica, con informazioni sparse ovunque.

"Per ora basta così, Nam, è abbastanza scossa, continuerai il discorso tra un po'," dice Jin voltandosi verso il compagno.

"Sì, sono d'accordo."

"NO, FERMI!" grido nel momento in cui loro si voltano per uscire dalla stanza.

"Vi prego, ditemi di più," sussurro supplicandoli, chinando la testa verso il basso e mettendo le mani in preghiera.

"Sei sicura, Y/n?" domanda Jin con voce calma.

"Sì, ti prego, continua," lo fisso con gli occhi lucidi, ma non abbastanza da lacrimare.

Namjoon accenna un sorriso rassicurante e con uno sguardo, che sembra sincero, mi incita ad essere forte e ad affrontare tutto.

Speranza Sotto Tiro [ʏ/ɴ x ᴊᴋ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora