11. Piccole, agognate vittorie

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Nota: c'è una challenge alla fine, se vi ho taggato è per quello.

Margaret

La porta del bagno si spalanca ed io mi alzo immediatamente dal bordo della vasca di marmo. Grace si dirige verso il lavandino, prende un asciugamano di spugna e lo bagna con dell'acqua bollente, visto il vapore che si leva dal rubinetto, strofinandolo lentamente sopra le strisce che aveva dipinte sulle guance.

Silenzio. I muri del nostro dormitorio ormai ne sono impregnati da un bel po' di giorni, con l'aria pesante che si respira che viene smorzata a tratti dalle chiacchiere di Julie che forse non riesce a comprendere al meglio la situazione. «Mi stai fissando.» sentenza Grace dopo qualche minuto, gli occhi puntati sullo specchio di fronte che, per qualche motivo assurdo, non riesce a replicare alla perfezione il colore dei suoi occhi.

«Lo so,» dal tono della mia voce non traspare tutta l'amarezza di queste giornate vuote «lo faccio spesso. Non solo ultimamente.»

La vedo stringere la presa sull'asciugamano bianco, «Evita di farmi sentire in colpa per un tuo errore, grazie.» poggia il panno bianco, quasi spasmodicamente, sul bordo del lavandino. Si volta verso di me: goccioline colano sulle sue guance, lasciandosi dietro scie verdognole. «Non lo sto facendo.» sussurro stringendo i denti, «Lo sai esattamente che non lo pensavo veramente e continuo a non capire perché vuoi continuare questa guerra.» Grace soppesa il mio sguardo per qualche secondo, poi alza la testa verso il soffitto; la classica posa che fa quando cerca di spiegare a qualcuno un concetto che sembra palese solo a lei. Fa un passo verso di me mentre si raccoglie i capelli in una cipolla disordinata, «Il problema non è quel "mi fai schifo",» eppure colgo perfettamente la punta di veleno con cui pronuncia replica le mie parole «lo hai detto senza pensarci. Lo capisco, davvero. Il problema è che tu mi reputi una fottuta idiota, cosa di cui me ne rendo conto da come mi parli delle cose importanti: usi quel tono quasi stucchevole che si usa con i bambini. Lo hai lasciato intendere anche mentre litigavamo. Non mi sono scordata quel "vatti a scusare". Come se solo tu sapessi tutto al meglio. Come se non potessi arrivarci da sola, cavolo!»

Grace gesticola a pochi centimetri dalla mia faccia ed io faccio un piccolo passo di lato cercando di evitare le sue braccia. «Ma non è affatto vero! Chi ti ha messo in testa certe idee?» alzo la voce, convinta che Grace non possa pensare una cosa del genere. «Perché non potrei averlo pensato da sola? Sono forse troppo stupida?»

«No, certo che no! – mi affretto a negare – Solo che mi sembra assurda come idea. Io ti tratto così perché ci tengo a te, Grace. Non di certo perché penso che tu sia stupida!»

«Ma io non sono tuo fratello, Marg...»

***

31 Agosto 1974, casa Shafiq

La finestra dalla camera di Margaret si spalancò e gli occhi della ragazza corsero subito verso la fonte del rumore. Il ciuffo di capelli disordinati di suo fratello fece capolino insieme alla luce del sole all'alba e Margaret balzò giù dal letto corredo verso il fratello, gli occhi chiusi e un sorriso a trentadue denti. La manona di Rhys si posò sulle sue labbra, impedendole di gridare dalla felicità, mentre con l'altra le faceva segno di silenzio. «Sei felice Piccoletta? Vestiti immediatamente e vieni con me.»

Margaret spostò delicatamente le dita di suo fratello, per poi stringerle fra le sue «No, Ry! Rimani tu qua con me!» Margaret sapeva che il fratello era venuta a portarla via con sé, come sapeva che era una pazzia l'idea distorta di Rhys. Il meglio per lui era restare a casa insieme ai loro genitori, insieme a lei. «No, non si può fare, mi dispiace... se non vuoi venire non importa, ma non dire al papà che sono stato qua, intesi?»

Just Another Possibilty// Marauders EraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora