Capitolo 17

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La neve cadeva lentamente, andando a colorare di bianco le superfici su cui si posava, in un pomeriggio insignificante di febbraio.
Gioia si era persa a guardarla attraverso la finestra della cucina, il calore del the ancora caldo ne appannava leggermente il vetro.
Da qualche tempo ormai il suo umore sembrava andare a mischiarsi alle nuvole grigie che da qualche giorno ricoprivano il cielo sopra Bologna.

Sospirò, sistemandosi gli occhiali sul naso e prendendo il telefono appoggiato sul tavolo.
Sulla schermata di blocco comparve il messaggio di Alessia che la avvertiva di aver letto i suoi messaggi e di chiamarla immediatamente.
Poco dopo il rumore degli squilli si perdevano nella stanza e subito dopo anche la voce di Alessia.
«Ma salve!» la salutò Gioia cercando di comparire allegra «Com'è andata in montagna?»
«Bene bene.» poteva sentire la felicità dell'amica nel suo tono di voce «La neve era stupenda.»
Sentiva in sottofondo la voce di Luca che le chiedeva qualcosa ricevendo una negazione in risposta, seguita da un'altra domanda.
«Cos'è successo?» le chiese Gioia.
«Credo che Luca abbia perso le chiavi di casa.» disse seguita da un imprecazione del suo fidanzato «Luca!» lo riprese lei facendo ridere Gioia «Senza credo, le ha perse.»

Rise ancora alla sua affermazione.

«Vuoi che vengo su così parliamo?» le chiese poco dopo la chitarrista facendosi seria.
«Sarai stanca, non mi va di disturbarti.» affermò l'amica «Non preoccuparti, dico davvero.»
«Tra 10 minuti sono lì.» disse Alessia senza ascoltare cosa disse poco prima.
«Va bene.» rispose la più piccola dei fratelli Paganelli alzando gli occhi al cielo sapendo che era impossibile cercare di convincerla di non venire.

Dieci minuti dopo il campanello risuonava per casa, segno che Alessia era arrivata.

«Ciao Gio.» la salutò sorridente prima di abbracciarla «Come stai?» le chiese allontanandosi mentre si toglieva la sciarpa e il berretto.
Gioia alzò le spalle accennando un sorriso e subito sul suo viso si formò un espressione preoccupata «È per Lorenzo?»

Annuì andando a sedersi sul divano, seguita subito dopo da Alessia.

Aveva lo sguardo fisso sul soffitto bianco, nel silenzio più totale, Alessia in parte all'amica, rispettava quel silenzio, aspettando che fosse lei a parlare.
«Ultimamente lo sento...distante.» mormorò Gioia improvvisamente, rompendo quel silenzio «Ci sono volte in cui sembra che voglia vedermi solo per...parlare.»
«Cioè?»
«Sembriamo quasi due amici più che una coppia.1» sospirò sempre più demoralizzata. 

«Hai provato a parlargliene?»

Scosse la testa quasi impercettibilmente.

«Magari doveva andare così.» sospirò  «Non siamo mai stati destinati a stare insieme.»

«E a te va bene questa cosa?» le chiese dolcemente Alessia.
Gioia rimase in silenzio mentre le parole dell'amica le rimbombavano nella testa, fino a quando non spostò lo sguardo per non farle vedere i suoi occhi lucidi.
«Sì.» disse alla fine cercando di non far tremare la voce mentre una lacrima solitaria le rigava la guancia.

Ci fu un momento di silenzio.

«Gio.» la richiamò la mora mettendole una mano sulla gamba facendola voltare verso di lei «Solo il fatto che tu abbia reagito così, vuol dire che ci tieni veramente a lui e a voi.»
Rimase a guardarla, prima di asciugarsi col dorso della mano la lacrima che le rigò la guancia qualche minuto prima e annuire.
«Ora sarà sicuramente alle prove, però perché non gli scrivi di passare dopo?»
Gioia annuì ancora, accennando un sorriso e poi cambiò argomento «Resti a cena? Visto che per stasera siamo da sole entrambe.»

La vide sorridere e accettare ben volentieri, prima di alzarsi per andare in cucina.

Poi, senza pensarci, la abbracciò prendendola alla sprovvista.
«Grazie Ale.» mormorò sinceramente, venendo poi ricambiata di quell'abbraccio.

***

Il tastierista salì velocemente le scale, arrivando così al secondo piano davanti alla porta di casa di Gioia.
Poco dopo aver bussato la porta si aprì, insieme al viso di Gioia che gli accennava un sorriso.

«Hey.» lo salutò, invitandolo ad entrare.
Tentò di salutarla con un bacio, ma spostò il viso per farsi baciare la guancia.

Non ne rimase troppo sorpreso, sapeva che qualcosa la turbava da diverso tempo.
E sapeva perfettamente cos'era e dovevano parlarne.

Il ragazzo si tolse il giubbino e la cuffia, coperti dai fiocchi di neve e si sfregò le mani nel tentativo di scaldarle.
Gioia uscì poco dopo dalla cucina porgendo al tastierista una tazza di the appena preparato e poi lo invitò a sedersi in parte a lei sul divano.

Era così che passavano le notti d'inverno.
Affogavano sul divano il sabato, guardando un film piuttosto che un episodio di Stranger Things.
Una volta seduti, allungò un braccio per appoggiarlo sulle spalle della ragazza, ma ancora una volta si spostò, quasi infastidita.
Il tastierista sospirò passandosi una mano tra i capelli e tentò di concentrarsi sulla trama del film che passava sul televisore.

Invece si ritrovò ad osservare di sottecchi Gioia, le scene che passavano sullo schermo le si riflettevano sulle lenti degli occhiali e vedeva che non era realmente concentrata a guardare il film.

Così prese coraggio.

«Gioia.» la chiamò e bastò questo.

Chiuse gli occhi sospirando e poi mise in pausa il film, prima di voltarsi verso di lui.

Sapevano entrambi che prima o poi ne avrebbero dovuto parlare.
Il peso di quella situazione iniziava a farsi sentire man mano che il tempo passava.

I suoi occhi ne davano la conferma

Erano delusi, spaventati e stanchi.

«Cosa ci è successo?» mormorò con voce quasi tremante.
«Non lo so.» disse Stiva sinceramente «È come se ci fossimo appoggiati suo fondo del mare nonostante sapessimo nuotare.»

«Secondo te siamo fatti per stare insieme?» gli domandò non riuscendo però questa volta a trattenere le lacrime.
Si avvicinò a lei prendendole le mani che erano andate a coprire il viso, asciugandole quelle lacrime.
Dove di fronte a esse si sentiva impotente.

La guardò negli occhi e poi la baciò.
E come se fosse la prima volta, le sensazioni che provò furono molteplici e travolgenti, probabilmente mischiate a quella situazione che in quel momento gli sembrava quasi surreale il fatto che si fosse creata.
«Scusami.» mormorò ancora con voce tremante «Non avrei dovuto dubitare di noi.»
«Non hai nessuna colpa, è normale avere dei dubbi.» disse il tastierista a sua volta «Avrei dovuto ascoltarti e non dare niente per scontato.»

E rimasero così, a non dirsi niente, ma a dirsi tutto solo guardandosi negli occhi.
A chiedersi scusa, a studiarsi come se fosse la prima volta, a tornare ad amarsi come la prima volta.

Come stelle ad agostoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora