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Bar Zafir è un locale molto diffuso tra gli studenti della nuova scuola. Lo so, perché praticamente ogni ragazzo o ragazza lo nomina almeno una volta al giorno. Pare che venda senza troppi problemi alcol ai minorenni e che i prezzi siano piuttosto buoni. Spesso sento parlare di nottate trascorse al bancone del bar a bere e a flirtare con i baristi, uomini tatuati che sorridono una volta di più alle proprie clienti per farle avvicinare e provarci con loro. E poi, sono sicura che le vendite aumentino notevolmente se le ragazze si recano lì ogni giorno solo per limonare il barista che possibilmente ha riempito loro il bicchiere per tutta la serata.

Anche BB sembra conoscerlo, poiché sa la strada a memoria. Parcheggia davanti al locale e si leva il casco ancora in sella, fissando la struttura mal ridotta e l'insegna luminosa. Io scendo e gli passo il mio casco.

«È sicura che voleva venire qui?» domanda, ancora preoccupato.

«Certo che sì, grazie.»

Recupero le mie cose e mi incammino verso l'entrata.

Ma quando mi giro a vedere se è già andato via, il prof sta camminando dietro di me con il casco in una mano e le chiavi della moto nell'altra. Mi fermo di colpo, ma lui non mi vede e si sbatte contro di me, per poi guardarmi confuso.
«Dove sta andando?» gli chiedo, scettica.

«Sto andando al bar» ribatte lui, con tono ovvio.

«Ma io non le ho chiesto di accompagnarmi anche dentro.»

«Ed io non ho intenzione di farmelo chiedere. È una mia decisione.»

D'accordo. È inutile litigare per questo. Tanto prima o poi si stancherà e se ne andrà.

Proseguo, alzando gli occhi al cielo e, senza accertarmi che BB sia dietro di me, entro nel locale.

Questo si sviluppa su due piani, collegati da una rampa di scale in legno. La luce tenue e calda dona all'ambiente un aspetto più piccolo di quanto effettivamente sia realmente. Alcuni tavolini sparsi in giro sono già pieni sia sopra che sotto, nonostante siano appena le sette di sera. Un bancone si estende lungo tutta la parete destra e un barman è già all'opera con una ragazza che scommetterei essere più piccola di me, con una minigonna nera e tacchi vertiginosi. In fondo alla stanza, un sessantenne con un cappello grigio e una chitarra appesa al collo, sta cantando da sotto i suoi baffi una canzone inglese, seduto su uno sgabello e con gli occhi chiusi.

Appena ci vede, un uomo sulla trentina, vestito di nero e con dei tatuaggi che gli ricoprono interamente entrambe le braccia, ci viene incontro, sorridente.

«Ciao, piccola. Vuoi sederti qui o al bancone? Io oggi sono di turno al bancone; potremmo scambiare quattro chiacchiere, se ti va.»

Il prof mi affianca e lo guarda con aria minacciosa dall'alto in basso. Io lo fulmino con lo sguardo, ma, anche se sono sicura che senta i miei occhi su di lui, mi ignora. Il barista guarda male BB e poi me.

«Ci siederemo qui, grazie mille» dico io, sedendomi subito al primo tavolo libero che trovo. BB continua ad incenerire con gli occhi il barista fino a quando non se ne va e poi si siede di fronte a me.

«Era proprio necessaria la scenata di prima?» gli chiedo, mostrando il mio fastidio.

Lui mi guarda come se non sapesse di cosa io stia parlando e alza un dito per chiamare il barista che è dietro il bancone da quando siamo arrivati. Questo gli rivolge un'occhiata veloce e lo ignora. Io rido sotto i baffi, mentre lui si alza sbuffando, per andare a ordinare direttamente al bancone.

In realtà, io non ho espresso alcuna preferenza su quello che desideravo, perciò quando torna lo fisso storta.

«Che c'è adesso?» chiede, non capendo cosa ci sia che non vada.

La prima volta ti travolgeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora