11

652 91 44
                                    

Prendo le chiavi e chiudo la porta di casa alle mie spalle. Sono piuttosto in ritardo stamattina, perciò aumento il passo verso la scuola.

Ieri sera non sono tornata a casa molto tardi, ma sono rimasta sveglia a pensare a tantissime cose fino a stamattina alle quattro. E quando è suonata l'ultima sveglia – quella delle 7.50 – impostata sul mio cellulare, ho capito che ero realmente in ritardissimo.

È la prima volta che mi succede in vita mia. Per sicurezza, sul mio telefono, quando ho iniziato le superiori, ho impostato dieci sveglie, che suonano ogni dieci minuti dalla sette alle otto. In genere, però, le disattivo quando alle sei sono già in piedi, ma oggi sono stata svegliata da un'orribile suoneria che dovrò cambiare prima o poi, e che altro non era che la sveglia delle otto meno venti. Un disastro!

La strada verso la scuola ieri mi era sembrata corta, ma oggi sembra che più passi il tempo e più io non arrivi.

Sono quasi le sette e cinquanta e il mio cellulare suona nella tasca dei miei jeans. Lo prendo e trovo una chiamata persa e un messaggio da parte di Kyle di ieri sera, e una chiamata persa da parte di Stefano. Risale a cinque minuti fa, ma probabilmente non avrò avuto campo, perché non è squillato.

Fisso il suo nome scritto sullo schermo. Non è seguito da alcuna emoji e non l'ho memorizzato con un banale nomignolo. Può sembrare strano, ma le persone a me più care si trovano tra i miei contatti con il loro nome scritto per esteso e basta. Niente di più e niente di meno. E per me significa tenere davvero a queste persone, perché voglio che, quando loro mi chiamino o mi scrivano un messaggio, il loro nome sia l'unica cosa che veda sullo schermo, l'unica cosa importante.

So che dovrei richiamarlo, ma sono in ritardo e in più non mi va. Dovrebbe essere lui a insistere, perciò rimetto in tasca il cellulare e proseguo.

Per tutta la notte ho riflettuto su quello che mi ha detto Jordan e le sue ultime parole non hanno fatto altro che rimbombarmi fastidiosamente in testa, tenendomi sveglia. Che cosa intendeva dire?

Raggiungo la scuola e, fortunatamente per me, sono tutti ancora fuori nonostante siano le otto meno cinque minuti. Mi infilo tra la gente e riesco a entrare dentro. Prendo le scale e sono davanti alla classe quando il mio cellulare suona nuovamente.

È Stefano.

Non dovrei parlare mai troppo presto...

Mi guardo attorno. In classe c'è solo Parci, ma a parte lui non c'è anima viva in giro. Anche se sono già all'interno delle mura scolastiche, posso comunque rispondere ad una chiamata se non c'è alcun professore nei paraggi. O almeno credo.

Premo la cornetta verde e mi porto il cellulare all'orecchio.

«Pronto?»

«Mara! Che succede?» domanda subito lui, allarmato. Mi chiedo di cosa stia parlando.

«In che senso?»

«Ho trovato il tuo messaggio di stanotte... stai bene, vero?»

Scoppio a ridere.

«Ti ho scritto semplicemente "ehi"» gli faccio notare io. Lui tace ed io sento degli strani rumori provenire dall'altra parte.

«Non sei a scuola?» domando.

«No. Non ci vado da un paio di giorni in realtà» mi spiega, con voce ridotta a un sussurro.

Non dico niente. È la sua vita ed è libero di farne quello che vuole. Se preferisce ritirarsi e non prendersi nemmeno il diploma, io non posso costringerlo a centinaia di chilometri di distanza a non farlo. Inoltre, mi sembra che il suo tono sia quello di un uomo che si sente in colpa e non voglio che pensi che io lo rimproveri per una sua scelta. Io non sono così.

Tace ancora ed io prendo a giocare con un pezzo di muro scrostato davanti alla porta. Il corridoio resta deserto e ho ancora lo zaino in spalla. Cammino avanti e indietro in attesa che egli dica qualcosa, ma l'unica cosa che fa è sospirare più volte.

«Stefano, cosa c'è? Cosa ti prende?»

«Niente, io...»

Non finisce la frase e penso a quanto sia stato sciocco inventare una parola come "niente". Insomma, non è vero che non succede niente, non è vero che non abbiamo niente. Nascondiamo quello che sentiamo o proviamo dietro questa parola e dovremmo arrabbiarci quando qualcuno ci risponde così.

«Stefano? Sei ancora lì?»

Lui non risponde e sto per chiamarlo nuovamente quando qualcuno dall'altra parte lo nomina.

Sento come se quel qualcuno avesse deciso di farmi l'eco. Il suo nome è caldo e bello e dolce pronunciato dalla bocca di questa persona.

Poi lo chiama di nuovo.

Capisco che sì, avevo udito bene: qualsiasi persona lo stia chiamando è una donna.

Il nome di Stefano viene pronunciato una terza volta. La decisiva, quella che mi taglia il cuore, la milza, lo stomaco, il cervello a metà. Come un'ascia o una spada, mi attraversa da parte a parte, infliggendomi dolore.

«Chi è, Stefano? Chi è che ti sta chiamando?»

La mia voce si spezza e una lacrima gelida mi riga una guancia.

«Con chi sei?» domando ancora, disperata.

«Mara...»

«Cazzo, Stefano! Ti ho fatto una semplice domanda: con chi sei?» urlo.

Prendo a versare lacrime di sofferenza e rabbia in silenzio. Era da tanto che non piangevo di dolore, forse da più di un mese. Ma adesso eccomi qui, in mezzo al corridoio di una scuola che nemmeno volevo frequentare, nell'unica città dove ho iniziato a soffrire per il dolore causatomi da una persona cara, da mio padre, piangendo per un'altra persona che credevo mi amasse.

Sarà una maledizione! Questa città è maldetta e io con lei.

Mi spallo al muro, buttando lo zaino vicino alla porta e lasciandomi scivolare per terra. Stefano continua a non dire niente e questo mi fa arrabbiare ancora di più.

Piango e piango ancora, il cellulare all'orecchio e gli occhi chiusi. Forse così il mondo scomparirà. Forse tutto quello che sta accadendo diventerà solo buio, lo stesso del mio incubo.

Questo pensiero mi affligge ancora di più e altre lacrime mi bagnano il viso.

E quando apro gli occhi, lo vedo.

BB è in piedi in fondo al corridoio e mi guarda preoccupato. Fa un passo avanti ed io scatto in piedi, guardandolo dritto negli occhi. Si blocca all'istante, come se avesse paura che scappassi.

Sento che non mi importerebbe niente se mi avesse sentita urlare, ma non ho intenzione che mi veda piangere. Non qui, non lui e non adesso.

Riattacco e tutta la distanza tra me e Stefano mi piomba addosso, lasciandomi senza fiato. Solo ora mi rendo conto che è davvero finita ed io non posso farci nulla. Non c'è rimedio al tradimento.

Prendo il mio zaino, rivolgo un'ultima occhiata a BB che continua a guardarmi immobile a qualche metro di distanza, e corro via.

La prima volta ti travolgeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora