Capitolo 16: Lo studio a Brea

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Brea non era esattamente dietro l'angolo e ci vollero quasi un paio di giorni di viaggio ad arrivare. Il traghetto di Buckburgo, punto fondamentale per le traversate, era stato chiuso in quel periodo a causa del fiume troppo agitato (c'erano stati da poco dei temporali) e dovettero trovare un mezzo alternativo. Fortunatamente erano state predisposte delle corriere speciali fino alla riapertura del traghetto.

Bilbo fremeva d'impazienza : come avrebbe voluto che il Popolo delle Aquile lo portasse rapido fino al villaggio per cercare la donna che amava, o che semplicemente gli prestassero un paio di quelle ali maestose per poter volare da solo, trasportato dal vento, e librare leggero accompagnato dall'amore che lo avrebbe innalzato a ripide quote. Gandalf, notandolo, comprese di aver finalmente sciolto le riserve di Baggins e lo aveva spinto verso una nuova e più insidiosa avventura. Se sarebbe stato un bene o un disastro... solo le labbra di Blodyn potevano decretarlo. Per lo stregone era un simpatico diversivo dal suo vagare per la Terra di Mezzo. 

Finalmente giunsero alla piccola cittadina, vivace e ridente con la sua popolazione che mescolava Umani e Hobbit per le strade e nei negozi, amichevoli gl'uni con gli altri. Bilbo ricordava che molti della Contea disprezzavano coloro che avevano lasciato i prati verdi di Hobbiville per abbassarsi a quel piano, e li consideravano rozzi e volgari. In verità molto probabilmente era un moto di orgoglio ignorante... o invidia, male che affettava molti della sua zona.

Oltrepassato l'ingresso di Brea, cominciarono ad addentrarsi per le vie in pietra e terra alla ricerca di un'indicazione per lo studio medico. L'ex scassinatore aveva fatto affidamento sulla memoria dello stregone ma quegli dovette ammettere che, a causa dei molti anni passati, non gli sovveniva minimamente.

: " Dobbiamo fare in fretta! – Esclamò spazientito, con le mani che stringeva per tentare di scaricare l'agitazione – Adesso come facciamo?! Io non conosco così bene Brea da..."

: " Per prima cosa devi calmarti. - Lo interruppe lo stregone. Tratteneva a stento sorrisi divertiti per quella situazione, cercando di apparire il più serio possibile - Non vorrai presentarti con quella faccia stravolta a Blodyn, no? "

Bilbo dovette dargli ragione e cercò di placare l'agitazione che lo scuoteva respirando profondamente, alzando ed abbassando il petto e le spalle ricoperti dalla giacchetta rossa. Fatto ciò alcune volte fissò Gandalf con serietà e disse: " Sto bene. Se non sappiamo che fare dovremmo chiedere a qualcuno almeno."

: " Alla Locanda del Pulendro Impennato! Sicuramente sapranno darci delle informazioni. Mi conoscono tutti lì."

: " E ricordi come arrivarci?"

: " Certo! Da questa parte." Concluse e fece strada con passo sicuro, segno che quando voleva la sua memoria funzionava. L'amico sollevò per un momento lo sguardo al cielo come rassegnato e lo seguì senza aggiungere altro per non rischiare di alterarsi nuovamente.

In pochi minuti raggiunsero un edificio in legno e pietra al cui esterno ondeggiava un'insegna con inciso in metallo un giovane cavallo candido, le zampe superiori sollevate in posizione rampante. Era sicuramente l'ostello che li avvicinava alla meta. Lui volle rimanere in disparte, sentendosi a disagio in mezzo alla confusione tra gli schiamazzi, l'andirivieni dei commensali e i rumori della chiassosa cucina. Fu Gandalf, avvezzo a quell'asilo di nani e raminghi, ad accostarsi al bancone del proprietario, un Uomo dalla corporatura massiccia, il volto tondo e sudato con un paio di vistosi baffi neri e lucenti sotto il nasone. I due parlottarono tra loro, guardando a tratti lo Hobbit e dopo un po' si salutarono con una vigorosa stretta di mano.

: " So la strada, andiamo." Proferì a capo chino, portando in avanti il suo bastone come per contare i passi che lo avrebbero condotto presso lo studio. Ed in effetti parve averli misurati perché raggiunsero una casetta in legno semplice esteticamente, senza particolari decori se non un balconcino in alto, poco sotto il tetto spiovente, imbellito con alcuni fiorellini viola e bianchi. L'insegna cigolante recava la scritta: " Studio Dottor Ebonyth e figli" con impressa una mano stilizzata che gettava in un recipiente delle erbe officinali. L'alta porta massiccia aveva accanto una campanella a parete con una fine catena ad anelli che ondeggiava al vento, lì vi stava anche un cartello che invitava ( in diverse lingue ) ad usufruire di quello per annunciarsi in caso in cui l'ingresso fosse chiuso a chiave.

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