9: Amore a Prima Vista

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"Ma Ethel è proprio un nome o un diminutivo?" Chiede Max.

È mattina e stiamo tutti facendo colazione. È passata una settimana dal parto e io non devo andare a lavoro, ho il permesso del medico. Così come Alec.

"Un dimiuio." Dice Alec con la bocca piena. Inghiotte e continua: "Il diminutivo di Ethelyn."

"Ahhhh. È un bel nome. Mi piace."

"Menomale." Dico io.

In questo momento Ethel è accanto a me nel passeggino e dorme beatamente, mentre io la cullo leggermente. Si sveglia ma non piange, è piuttosto tranquilla, e comincia a guardarsi intorno con gli occhioni aperti.

Alec si stiracchia, si alza e si avvicina a lei, facendole il solletico sulla pancia e lei fa un verso tipo "EBBU, GGHE, GGHE.".

Mi piace vedere Alec che ci gioca: mi dà sicurezza vederlo così tranquillo e sereno, quasi tornato bambino, così chinato a giocare con la figlia.

"Beh, io devo andare." Dice Max alzandosi, mettendo la tazza nel lavello e riempiendola d'acqua.

"Sì, anch'io." Fa Lucy imitandolo. "Voi che farete tutta la mattina?"

"Verrà Mary con Alex, abbiamo intenzione di far conoscere i due bambini." Risponde Alec senza staccare la bocca dalla pancia di Ethel su cui sta sbuffando, così che la voce risuoni attutita.

Poi le prende il nasino tra le nocche del pollice e l'indice e tira leggermente, sostituendolo con il pollice. Ethel guarda ad occhi sbarrati quel pollice volante, poi alza le manine e riesce a prendere la mano per osservarla da vicino.

Alec ed io ci mettiamo a ridere come deficienti e continuiamo fino a quando non si sente Lucy nell'ingresso che urla:

"Ciao, bisognosi di manicomio!" Sentiamo lei e Max che escono e poi un'esclamazione: si sono scontrati con Mary che stava entrando in quel momento. Pochi secondi dopo la porta si chiude e Mary entra in cucina con Alex in braccio.

Prendiamo il bambino e lo mettiamo a fianco a Ethel e i due si guardano mentre noi siamo tutti intorno a osservarli, aspettando che accada qualcosa. Poi Alex allunga le manine e stringe Ethel.

Noi li guardiamo ad occhi sbarrati, poi sorridendo prendiamo i due in braccio e andiamo in salotto.

"Hai fame?" Chiedo a Mary.

"No no, ho già mangiato." Risponde lei. Poi aggiunge: "Anche se un po' di vino non sarebbe male."

"Non sono esperta come mia sorella, quindi ti dovrai accontentare." Dico io, schiaffandole una bottiglia di vino bianco davanti.

Passiamo tutta la mattina a parlare dei primi giorni, del primo sorriso, del primo dente... quando se ne va manca mezzora al momento in cui dovrò cucinare, quindi mi limito a guardare Alec che tiene in braccio Ethel e la culla. Ethel ha i suoi stessi capelli corvini, lo stesso naso, gli stessi lineamenti... gli occhi sono verdi, ma non verde magnetico come i miei: diciamo che si sono fusi con quelli di Alec, quindi sono di un verde più scuro, il colore del mare poco profondo...

"Ti ricordi il nostro primo incontro?" Mi chiede lui a sorpresa.

"Secondo te mi dimentico un giorno del genere?" Replico io.

Lui ride. In realtà è molto che non penso a quel giorno.

Era un giorno come tanti. Ero andata nel condominio dove c'era lo studio pediatrico e quello del mio medico.
Non c'era una targa, un'indicazione... niente, solo un corridoio con delle sedie colorate e due porte. Nient'altro.
Allora tirai a sorte e mi uscì la porta destra, così bussai e una voce disse "Avanti!".
Entrai e mi ritrovai un ragazzo poco più grande di me davanti al computer e ebbi subito l'impressione che fosse un tipo affidabile, nonostante l'età.
Chiesi con un fil di voce: "Mi scusi, lei è il Dottor Reese?".
Il ragazzo alzò gli occhi e disse: "Il Dottor Reese oggi non c'è. Lo sostituisco io."
"Ah." Quel ragazzo mi metteva a disagio, perché aveva i capelli neri e la pelle pallida, ma la cosa incredibile erano gli occhi: blu, come il mare in tempesta, sembravano profondi, proprio come il mare.
Era un bel ragazzo, lo ammetto.
Probabilmente notò il mio disorientamento, perché mi sorrise incoraggiante e disse: "Mi scusi, a volte parlo con un tono troppo professionale. La prego, si sieda."
Mi avvicino e mi sedetti rigida sulla sedia. Lui mi sorrise e chiese:

"Aveva un appuntamento con il Dottore? "

"Sì. Per una visita di controllo."

"Perfetto: mi è già capitato di fare visite di controllo, se a lei non dispiace potrei occuparmene io."

"Va bene..." Risposi io esitante.

"Bene, si alzi, partiremo con il peso."

Mi pesó, misurò l'altezza, la pressione, la vista. Mancava solo il controllo della schiena. E l'ultima cosa che volevo era rimanere in mutande e reggiseno davanti a quel tizio.

"Bene, si spogli che controlliamo la schiena."

Mi sedetti e mi spogliai, poi mi misi davanti a lui e mi chinai in avanti, le braccia morte; mi toccò i fianchi, mi accarezzò la colonna vertebrale... aveva delle mani delicate e il suo tocco non mi faceva venire i brividi, come quello del Dottor Reese, ma al contrario lasciavano delle macchie di calore dove le sue dita passavano.
Mi fece rialzare e mi fece rivestire:

"Tutto regolare, signorina."

Mentre mi rivestivo gli chiesi:

"Quindi lei è un dottore?"

"No, mi sto per laureare in pediatria. Di solito sostituisco il pediatra."

"Bene, quando avrò figli verrò da lei."

"È fidanzata? "

"No, purtroppo. Sembra che la gente preferisca il corpo più che la mente."

"Oh sì, la maggior parte degli uomini è così."

"Lei no?"

"No, sono una persona molto... come dire... filosofica. Non le dispiace se ci diamo del tu?"

"No, anzi, dare del lei mi è sempre stato scomodo."

"Perfetto. Senti, tu sei..." Controllò l'elenco di appuntamenti. "Lily Barks, giusto?"

"Sì."

"Sono felice di averti conosciuta."

"Anche io. Hai l'aria di uno affidabile. "

"Con questo posso meritarmi il tuo numero?"

"Mhh... ok."

Gli diedi il mio numero e tornai a casa.

Nei giorni seguenti uscimmo insieme più volte e ci mettemmo insieme.

C'è una casa a Londra...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora