Tyche

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Scena forte a fine capitolo: attenzione!!!

Trost è una città che Eren ha sempre trovato davvero strana, una specie di contorto puzzle mal costruito; ad ogni tessera corrisponde una zona in cui si concentrano vite così differenti da creare nella città stessa cittadine che non si mescolano, come fosse spezzettata da tante mura invisibili. E quella in cui si trovava adesso era di certo la zona più ricca, le alte mura perfettamente in tinta le une con le altre e i centinaia di negozi dalle vetrine elaborate e adorne di oggetti tematici, i cartellini pastello che esponevano cifre esorbitanti in un delicato pennarello dorato.

Per Eren è sempre un po' doloroso passare davanti a tutte quelle vetrine, l'occhio che scivola con una facilità mostruosa sugli abiti lunghi che sono sempre stati il suo tallone d'Achille; gli stanno particolarmente bene nel suo quasi metro e ottanta e con quel fisico sottile frutto di tanti sacrifici, esaltano la sua figura longilinea con eleganza e rappresentano l'essenza pura di Eren. Si sente goffo e stupido con i suoi jeans in quel momento, soprattutto quando passando davanti al suo monostore di biancheria preferito la sensazione dei boxer sulla pelle gli fa venire da vomitare.

La Perla è in assoluto il suo marchio preferito con la sua biancheria fine ed elaborata, i tessuti che si fondono con la pelle e sembrano sparire, lievi come acqua che risale dalla battigia e scivola sulla spiaggia lambendo la sabbia come dita spumose. Eren resta sempre incantato tra quella seta, quel pizzo, quel macramè, quel tulle impalpabile come nuvole che può solo desiderare da lontano, i cartellini così vertiginosi da fargli girare la testa; solo una volta aveva potuto provare uno dei loro prodotti, un fine slipdress in macramè azzurro che era stato morbido e balsamico come vento primaverile.

Era stata la loro prozia Alma a regalarlo a Mikasa per l'ammissione a medicina, anche se in realtà la prozia gliel'aveva porto dicendole di usarlo per dare finalmente dei nipotini ai suoi genitori, guardando verso Jean che si era fatto viola dalla vergogna; sua sorella le aveva risposto che loro di figli non ne volevano e quasi l'aveva fatta strozzare con la torta a pranzo. La prozia aveva scosso la mano perché avrebbe cambiato sicuramente idea e sua madre aveva dovuto mordersi le labbra per non litigare con quella donna; nessuno in famiglia la sopportava, neanche suo padre che era sempre sul punto di alzarsi e andarsene lontano da lei, ma a casa di suo nonno erano obbligati a vederla.

Eren era rimasto in disparte con la testa fissa sul piatto, senza voglia di attirare l'attenzione di quella donna su di sé e sentirsi dire quanto storto e spiantato lui fosse messo a paragone con Mikasa. E se avesse avuto abbastanza coraggio forse l'avrebbe detto a tavola quel giorno che lui – il frocio – invece i figli li voleva, magari in una grande casa piena di gatti con un giardino e un marito amorevole al suo fianco; nei suoi sogni se la immaginava così la sua vita, una sorta di favola astratta tinta di pizzo dove anche lui avesse il diritto di uscire dal bozzolo per essere felice. Ma si era morso la guancia mentre sua sorella le rispondeva infastidita e gli occhi della prozia si erano posati per un attimo su di lui con disgusto.

"Eren, c'è qualcosa che non va?"

La voce di Reiner lo fa sobbalzare, strappandolo da quel mondo di stoffe che la sua mente aveva creato per riportarlo lì, dove anche Mikasa e Jean lo guardano; o meglio Mikasa guarda lui confusa, Jean se potesse incenerirebbe l'altro. Si pinza il labbro tra i denti, guardando le sopracciglia aggrottate del suo ragazzo, a disagio per quel sottile fastidio che legge nel fondo delle sue pupille, e deglutisce indicando uno dei completino più simile a quello di Mikasa.

"Mika, ma non è quello che ti ha regalato la prozia?"

Sua sorella guarda per un attimo la vetrina e annuisce; non che Eren si aspettasse davvero che l'altra si ricordasse di una cosa così insignificante a cui solo uno stupido come lui dà importanza l'altra. Quando l'aveva indossato, l'aveva accarezzato con dita tremanti, la stoffa gli era scivolata addosso come un vento gentile ed aveva sentito la sua anima accartocciarsi come foglie secche quando non aveva potuto prenderlo, non con il rischio che Mikasa se ne accorgesse e rischiasse di trovarlo nel doppiofondo del suo armadio. Reiner gli circonda i fianchi con un braccio, un sorrisino divertito che gli gela il sangue nel modo in cui le parole lo trapassano come frecce di ghiaccio.

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