Capitolo 5. "Fidati di me"

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"La fiducia è preziosa e delicata come una gemma: ci vuole impegno per guadagnarla e molta cura per non scalfirla."
~Emanuela Breda

Ogni giorno mi innervosisco sempre di più.
Troy è sempre da per tutto.
Sono d'accordo che la città sia piccola, però mi sento veramente perseguitata da lui.

Cosa ci fa sempre in giro?
Se facessero qualcosa di produttivo mi andrebbe pure bene, ma non fanno nulla!

Ero appena uscita dalla scuola, ed ero andata al centro della città prima di andare dalla psicologa, per comprare qualcosa, mi ero accorta di lui che stava non molto lontano dalla mia visuale. «Quando la smetterai di seguirmi?».

Mi metto davanti lo sportello della sua auto.
L'ho visto che mi seguiva con lo sguardo, non può negarlo. «Non credo di averti seguita, ci incontriamo e basta». Risponde.

Pensa di prendermi per il culo così?
Dovrebbe cercare io fratello, non me! «Non dire sciocchezze», sbuffo. «Perché mi cerchi? Che cosa credi di trovare?». Chiedo stufa.

Mi sta già portando via tantissimo tempo. «Io non ti seguo». Fa un piccolo sorriso e alza il finestrino.

Cosa c'è da ridere?
Mi sento costantemente presa per il culo da lui, ha la faccia da schiaffi. «Vai a fanculo!». Dico sgarbata facendogli il dito medio.

Gli do un pugno sul cofano di davanti della macchina e poi vado per la mia strada con lo zaino sulle spalle.
Entro nel negozio di intimo che avevo visto qualche giorno fa, forse è nuovo.

Ogni tanto guardo fuori e lo vedo guardarmi dalla vetrina del negozio.

Che odio! Perché lo sta facendo?

Prendo qualcosa di carino ed esco dal negozio.
So già che non userò nulla di ciò che ho preso: un completo intimo di pizzo, sexy. «La vuoi smettere di seguirmi?». Gli chiedo per l'ennesima volta. Cammina a testa alta fingendo di non avermi sentita. «Ti diverte così tanto farmi innervosire?».

Ho come la sensazione di essere soffocata da lui, da mio padre e da mia madre.
Mi stanno continuamente addosso come se fossi una bambina immatura. Non si rendono davvero conto di come sia pensante per me vedere certe situazioni, mi fanno stare peggio. Ho già tanto a cui pensare. «Ti vedo sempre da sola, come mai?». Mi chiede curioso.

Continuo a sentirmi presa in giro.

Mi fermo tra la gente e lui fa lo stesso. «Se non la smetti di starmi addosso, il prossimo centro in cui finirò sarà quello psichiatrico, quindi te lo chiedo per favore, vai via!». Dico disperata.

Non ce la faccio più!

Sento come se avessi un gps incorporato da qualche parte, lui sa sempre dove trovarmi e come. «Non devi cacciare sempre tutti, questo tuo comportamento non ti porterà mai da nessuna parte».

Che ne sa lui della mia vita e di come sono?

Vado di nuovo avanti, questa volta però accelero il passo e vado al Teardrop Park, il posto che frequento ogni volta che mi sento giù, il posto dove è scomparso mio fratello. Vengo qui almeno due volte alla settimana da sempre. Qui vicino compravo anche la droga.

Vado lì e salgo sopra quell'albero immenso.
I rami sono veramente grandi, ogni volta sembrano che crescano sempre di più.

Comincio a piangere, ho bisogno di piangere...

Mi imbarazza sapere che c'è quell'idiota che mi guarda, solo che non riesco più a trattenermi. «Jade, per favore». Dice Troy.

Sto impazzendo a furia di essere seguita, sento che la mia privacy comincia ad essere violata da lui, un uomo come tanti che si fa i fatti degli altri senza capire di essere pesante.
Odio i poliziotti, non li voglio vedere, lui soprattutto.

Piango fino a singhiozzare, mi sento una sciocca.

So che avrei potuto andare a casa a farlo o aspettare di farlo dalla psicologia, ma non ho resistito, non riesco a controllare le mie emozioni.

Sale sopra l'albero anche lui, ma non arriva fino al mio ramo. «So tutto quello che ti è accaduto e mi dispiace. I tuoi genitori è vero, mi hanno detto di tenersi d'occhio ogni tanto. Ma non mi pagano, non fanno nulla del genere». Mi prende il braccio.

Scuoto la testa e lo guardo con disprezzo.
Vorrei tirargli il mio zaino addosso.
Sapevo che i miei genitori centrassero qualcosa con questa storia. «Dovete lasciarmi stare, mi state tutti opprimendo. Vi odio, odio tutti. Non avete trovato mio fratello, avete chiuso il caso è adesso mi state addosso? Fate ridere». Dico tra i singhiozzi del mio dolore.

Guarda il suo orologio e poi guarda me.
Leggo dell'imbarazzo nei suoi occhi. «Opto per una cioccolata al bar, ti va?», mi chiede toccandomi il polso. «Potremmo parlare».

Cosa?
Io e lui?

Ho detto che voglio stare da sola, non che ho bisogno di parlare con qualcuno. «Non ho bisogno di dirti nulla, ho già altro da fare oggi pomeriggio». Dico asciugandomi le lacrime con la manica della giacca.

Il sacchetto è nell'altra mano che tenta di cascarmi giù, così come lo zaino sulla mia spalla. «Sono sicura che il tempo per un caffè ce l'hai», dice alzando le spalle. «Fidati di me, io non ero nemmeno un poliziotto all'ora, avrei fatto di tutto per trovarlo, credimi». Dice poggiandosi la mano sul petto.

Gli passo il mio sacchetto e lo zaino per poi scendere dall'albero dopo di lui.
Scuoto la testa e continuo ad asciugare il mio viso con le maniche. «Sai in quanti mi hanno detto "fidati di me"?».

Annuisce con la testa e mi passa il sacchetto, mentre lo zaino continua a tenerselo sulla sua spalla. «Sono bravo ad ascoltare e se solo mi dicessi di che cosa hai bisogno, ti potrei aiutare». Mi fa l'occhiolino.

Potrebbe aiutarmi con mio fratello?

Inarco un sopracciglio e lo guardo dalla testa ai piedi «Sei anche bravo a rapportare alla mia famiglia, no?». Chiedo incrociando le braccia al petto.

Solleva gli occhi al cielo e scuote la testa. «So distinguere il lavoro da una conversazione privata». Dice sembrando serio.

Mi metto a ridere.
Non ci crede nemmeno lui.

   «Conversazione privata? Carissimo Troy, la nostra antipatia è reciproca, non avremo mai una conversazione io e tu». Dico sicura.

Mette una mano sulla mia spalla e la stringe.
Non sto capendo. «Potrei aiutarti». Ripete.

Sollevo gli occhi al cielo arresa. «Lo sai,  a scuola mi trattano come se avessi una malattia contagiosa», rispondo alzando le spalle. «Se ti fossi fatto i cazzi tuoi, in questo momento, sarei felice». Dico dopo essermi incamminata.

Entra nel primo bar che vede e si siede nei tavolini. Io faccio lo stesso anche se non vorrei, ma sono costretta. «Ti sei ridotta così per la scomparsa di tuo fratello?». Mi chiede curioso.

Annuisco con la testa. «I poliziotti hanno chiuso il caso dopo un'anno. Non hanno trovato niente. Secondo te è normale? Pensi che la mia vita dopodiché sia stata semplice? Assolutamente no!». Dico con rabbia.

Nel frattempo arriva il cameriere e ordiniamo due cioccolate con sopra la panna e io faccio aggiungere delle scaglie di cioccolato. «Lo so, ma saresti potuta andare avanti, proprio come hanno fatto i tuoi genitori».

Ho sentito più cazzate in cinque minuti che in diciassette anni di vita.

Sollevo gli occhi al cielo. «Non è facile, sono classificata come tossicodipendente oppure come: "la ragazza a cui è scomparso il fratello". Nessuna persona vorrebbe una persona come me attorno; io non voglio nessuno. Non voglio che nessuno provi compassione per me».

Di tutto ciò che ho detto sembra non aver capito nulla dalla sua espressione. «Con il tempo tutto si sistemerà».

Spero tanto che si bruci la lingua con la cioccolata. «Preferirei parlare con i pazzi che stanno al centro riabilitativo. Dio, sembri così stupido!». Dico scuotendo la testa arresa.

Missing #WATTYS2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora