10. Un paese che cade nei tranelli

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Don Lorenzo non ricordava niente di partite a scacchi, forconi magici e tende infuocate. Si era risvegliato in un letto di ospedale, circondato da streghe che continuavano a fargli domande, ma non sapeva proprio cosa rispondere.

C'era anche la tizia del supermercato, la donna dai lunghi capelli bianchi che lo faceva sentire meschino ogni volta che lo guardava, e questo non migliorava di certo la situazione.

Don Lorenzo si guardò le mani e trasalì alla vista delle unghie nere. Che cosa ci facevano lì? Non erano sempre state rosa, come la natura comandava? Chi gliele aveva smaltate? Provò a comunicare con Gesù, a chiedergli aiuto, ma non ebbe risposta: apparentemente Cristo lo aveva abbandonato oppure qualcosa aveva indebolito le sue preghiere così che non fossero udibili al Signore.

In realtà il Diavolo aveva trovato un altro corpo da possedere e lo aveva lasciato solo con un brutto vuoto di memoria. Ora direte pure che era meglio così, che ora Don Lorenzo avrebbe avuto un po' di pace, ma vi deluderemo constatando che non era così: in realtà il povero prete faceva ancora parte dei piani del re dei demoni e, ahinoi, non era la parte del leone, ma quella... dell'agnello sacrificale.

«Perché il Ministro Oscuro voleva la tua anima?» Gli domandò Renata, chinandosi verso di lui

«Voleva l-la mia a-anima?» pigolò spaventato Don Lorenzo, tirandosi la coperta sul petto come se questo potesse proteggerlo

«Non ricordi davvero?» la donna si ritrasse un po', mentre tutte le streghe la osservarono come in attesa di qualcosa

«Ve l'ho detto! Non mi ricordo niente di niente! Mi sia testimone Cristo, possa lui fulminarmi se non sto dicendo il vero!»

«In tal caso parlo a nome di tutti quando dico che sono molto dispiaciuta per il disagio che le nostre domande ti stanno causando. I ricordi definiscono chi siamo e deve essere davvero terribile perderne anche solo una parte...»

«Beh...» Don Lorenzo lottò contro l'impulso di nascondersi sotto il lenzuolo: si sentiva sempre più piccolo e patetico.

"Pagani!" Le aveva detto "Malvagi! Il vostro cuore è arido!". A guardare con quanta empatia e compassione lei lo stava trattano, Don Lorenzo desiderò intensamente di dimenticare anche quello. Forse era per ciò che Cristo lo aveva abbandonato? Perché non stava amando il suo prossimo come sé stesso?

Don Lorenzo sentì le lacrime affiorargli agli angoli degli occhi insieme a uno sgradevole pizzicorino.

«Mi dispiace» Singhiozzò

«Shh, shh, non fa niente» Renata gli poggiò una mano sulla testa «Non era troppo importante che tu rispondessi a quelle domande. Ora pensa solo a stare meglio, va bene?»

«Mi dispiace!»

«Ho capito, ma non devi preocc...»

«S-sei s-stata tu, vero, con il c-cestino? Sapevi che avevo f-fame e mi h-hai dato da m...» l'uomo tirò con il naso e deglutì il doloroso groppo in gola «... mangiare. "D-dai da m-mangiare agli affa-mati. Da bere agli asse-tati" diceva Gesù. E tu sei stata p-più cristiana di me»

«Non piangere, povero ragazzo» disse Renata teneramente «C'è sempre tempo per diventare migliori. Piangere i propri errori del passato, specie se non hanno fatto male a nessuno, è solo una perdita di tempo»

«M-ma io ho fatto m-male! Le mie parole devono averti ferita!».

Renata rise e prese una mano al prete. Le sue dita erano calde e, in qualche modo, magnetiche.

«Davvero credi di avermi ferita? Povero bambino! Le parole di uno come te non possono neanche toccarmi» Disse la donna.

Don Lorenzo ebbe paura. Lei non gli stava facendo nulla, ma percepì per la prima volta, chiaramente, chi Renata fosse in realtà. Quel momento di percezione fu breve, più corto di un secondo, ma bastò perché il prete sentisse lo stomaco scombussolato e la testa piena di cose a cui non sapeva dare un nome e che per il momento identificò come "lucine strane". Il potere di una strega anziana era inconcepibile per un senza-magia.

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