20. La fede spezzata di un prete

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Don Lorenzo si risvegliò in una camera da letto. Era buia, tetra, le pareti tappezzate di una gran quantità di ritratti a olio che ritraevano cose che potevano o non potevano essere persone, ma che di sicuro avevano grandi occhi ardenti.

Intontito, il prete batté le palpebre e corse con la mano al polpaccio, dove un'estesa ma rozza fasciatura gli stringeva stretta la carne. Cosa era successo? Ma sì, ora lo ricordava: qualcuno gli aveva sparato. Alejandro.

Ma sempre Alejandro gli aveva salvato la vita, portandolo via da quello che era, letteralmente, l'inferno. Se lo ricordava, visto come da dietro una cortina traslucida e tremolante (che poi erano lacrime, solo lacrime), chino sulla sua gamba a rappezzarlo rapidamente, senza rispetto, senza grazia. Prima gli aveva estratto il bossolo dalle carni con una pinzetta di metallo. Sdraaap. Aveva fatto proprio quel rumore lì, "sdraaap". E il dolore, quello Don Lorenzo se lo ricordava bene, gli aveva fatto vedere tutto bianco e gli aveva strappato un grido che sembrava provenire dal fondo delle sue viscere. Atroce.

Era svenuto poco dopo, ed ecco perché l'ultima cosa che si ricordava era Alejandro che gli metteva i punti.

E ora, che cosa stava succedendo? Apparentemente niente. Don Lorenzo non sapeva dove si trovava, non c'era nessuno con lui e stava soffrendo come un cane bastonato.

«Neanche un antidolorifico piccolo piccolo» Sussurrò fra i denti, rattrappendosi.

Anche solo rattrappirsi lo stancava: era esausto, non c'era più energia a cui fare appello dentro di lui. Don Lorenzo rimase nella penombra della camera per più di mezz'ora, immobile, guardandosi attorno; ogni secondo uno stillicidio di dolore, una fitta al polpaccio, ai polmoni, ogni ticchettio dell'orologio (dove diamine era poi quell'orologio? Non si vedeva, ma si sentiva) era una nuova frazione d'inferno.

Poi il prete decise di alzarsi. Rotolò fuori dalle coperte, si vide nudo, ritornò sotto le coperte. No, non aveva abbastanza forza per cercare dei vestiti e non aveva abbastanza coraggio per permettere a qualcuno di vederlo in questo stato.

Don Lorenzo non amava il proprio corpo. Non era brutto, come non lo sono la maggior parte dei corpi umani, ma a lui non piaceva... forse era colpa di tutti quelli che nella vita gli avevano detto di coprirlo, forse era perché invidiava quelli delle donne ("Le donne hanno corpi più belli, lo sanno tutti" gli dicevano sua nonna, sua madre e pure i suoi cugini), forse perché avrebbe voluto avere braccia muscolose invece di quegli stecchini, gambe polpose invece di quei due bastoni, e magari non possedere affatto un sesso, perché non voleva che nessuno lo vedesse, forse erano tutte queste cose insieme oppure qualcosa di completamente diverso, che affondava le radici in quella sua naturale timidezza che si era manifestata fin dai primi anni di vita, però era sicuro di non amare il proprio corpo.

Era magro adesso, così tanto che si vedevano le costole. Sedere piatto. Petto piatto. Tutto spolverato di peletti neri che lui aveva sempre odiato, ma che non aveva mai tagliato perché "gli uomini non si rasano mica, eh".

E quindi Alejandro lo aveva visto nudo? E quindi ora era bloccato lì nel letto, attanagliato dal dolore e dalla vergogna? E quindi Renata non lo amava? Non lo amava? Non lo amava? NON L'AVREBBE AMATO MAI?

Il prete iniziò a piangere piano, in silenzio, con lacrime spesse che gli scendevano lungo il naso aquilino e screpolato. Non aveva forza per torcersi le mani, perciò le lasciava abbandonate sotto le coperte, ai fianchi. Un singhiozzo. Poi un altro, più intenso, acuto come il verso di un gatto intrappolato improvvisamente. Don Lorenzo non aveva forza di gridare, ma gemeva più forte che poteva, disperato.

«Non vale più la pena! Non vale più la pena! Cristo, Cristo liberami da questa vita! Non ce la faccio più!».

Si asciugò gli occhi con il dorso della mano. Le lacrime gli irrigarono di nuovo la faccia, repentine, rendendo inutile il suo intervento. Si asciugò di nuovo.

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