Capitolo 11

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Non mi accorsi neanche che Lucas era tornato, non sentii la porta sbattere né il soffio d'aria che certamente doveva essere entrato nella stanza, ma comiciai a risvegliarmi o meglio a tremare, fremere per un intenso piacere.

Non riuscivo a vederlo, non sentivo il suo peso su di me, ma le mie gambe erano ancora legate, divaricate, e lui doveva essere col viso affondato dentro di me: potevo riconoscere quel piacere che solo lui era sempre stato in grado di darmi, riconoscevo il suo modo di muovere la lingua dentro di me.
E sentivo la sua voce, supplicarmi, chiedere scusa infinite volte. Stava usando la sua splendida lingua per darmi piacere e chiedere scusa.

"Perdonami, perdonami Jules"

Sentivo il suo sussurro caldo sulle labbra e poi lo sentivo affondare, strizzavo gli occhi, contorcevo le dita dei piedi, e poi ancora...

"Perdonami Jules, devi perdonarmi ti prego"

Dovevo aggrapparmi al lettino, affondare le dita nel materasso per non gridare.

Le mie cosce tentavano di chiudersi per lo spasmo, ma lui continuava a tenerle allargate davanti a sé, con una presa ferma di entrambe le mani, e prendeva tutto ciò che voleva.

Compiva movimenti lentissimi con la sua lingua gonfia e piena, e leccava quanta più superficie potesse raggiungere, poi usava la punta soltanto sul mio clitoride, per stuzzicarmi, farmi mugolare, e poi scendeva di nuovo, più in basso, con la bocca completamente aperta, la lingua piatta e avvolgente che a tratti tentava di insinuarsi, entrare anche dentro il mio corpo.

La sentivo spingere tra le pareti strette e bagnate, le sentivo cercare la strada e di nuovo il suo sussurro, caldissimo che mi faceva inarcare la schiena, implorarlo di smettere.

Non credo riuscisse nemmeno a sentire le mie parole. Continuava a leccare e succhiare e chiedere perdono come ripetendo un mantra.

Quando riuscii ad alzare la testa vidi solo i suoi occhi chiusi, strizzati eppure dolci, estasiati, il suo viso bellissimo nascosto per metà dentro di me, le sue mani grandi che mi tenevano le cosce aperte, i segni rossi, lì dove le dita affondavano nella carne.

Voleva espiare, leccare via oggi traccia di Flinn o di qualunque altro uomo immaginario da dentro il mio corpo, e non aveva la minima reticenza o disgusto al pensiero che solo un attimo prima lì ci fosse stato il pene di un altro uomo.

Eravamo solo io e lui, solo il mio corpo e il suo corpo.

Mi sentivo ancora inebetita, non del tutto sveglia e consapevole di me, ma quel piacere riuscivo a sentirlo fin dentro lo stomaco.

Era una sensazione conosciuta, antica.
Mi ricordò la prima volta che avevamo fatto l'amore.

Io troppo timida per riuscire a lasciarmi andare nonostante lo amassi già, lui impaziente, che mi aveva spogliato con gli occhi già un'infinità di volte.

Quella sera avevo deciso di farlo, dopo tre mesi di attesa, eppure ero ancora agitata, impaurita, così avevo bevuto, mi ero lasciata andare a quel piacere dolce che più era diventato sempre più intenso.

Su quel lettino, in quella chiesa abbandonata, inaspettatamente stavo provando le stesse sensazioni.
Uno stordimento dolce, un piacere intenso, la sensazione di essere protetta, amata, quasi venerata e nello stesso tempo cominciavo a darmi della pazza.
Lui era il mio aguzzino, il mio carnefice, ero legata contro la mia volontà, mi aveva drogata, e nemmeno mezz'ora prima mi aveva venduta ad uno qualunque che io non avrei mai scopato per mia scelta.

Cos'erano quei pensieri contorti che aveva? Cos'era stata quella vendetta crudele e assurda? E perché mi stavo sentendo così bene e mi lasciavo leccare invece di gridare e dibattermi?

Mi chiesi se lo amassi ancora, se lo amassi di nuovo, se non avessi mai smesso di amarlo o se semplicemente la sua pazzia mi stesse contagiando.

Mia ad ogni costoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora