Capitolo 13

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Rimasi lì a terra, furiosa, scioccata, seduta sulle mie gambe nude, le mie stesse parti intime toccavano il pavimento freddo.

In quel momento sentivo di odiarlo ma nello stesso tempo qualcosa mi aveva convinto di meritarlo, che se mi ero ritrovata il suo fiato addosso, il suo pene dentro, in parte fosse anche per colpa mia e la sua ombra non se ne sarebbe andata con tanta facilità.

Ero sua, roba sua, a sua disposizione e la colpa era anche mia.

Raccattai i vestiti che mi aveva lanciato addosso, cercai di coprirmi con quei pochi lembi di stoffa, me li rigirai tra le mani, non era nemmeno i miei vestiti, era roba stretta, corta, paiettata.

Gridai dalla frustrazione, mi tornò in mente. No, erano miei quei vestiti, ma non quelli che avevo indosso quella sera; erano altri, un'altra sera, eravamo andati da lui dopo un'uscita a ballare, ero completamente ubriaca e lui completamente stregato da me; l'avevamo fatto per tutta la notte e poi io li avevo dimenticati a casa sua, me n'ero andata con indosso una delle sue tute.

Ma ora eravamo nel pieno dell'inverno ed era notte fonda e mi veniva da piangere.

"Stronzo! Maledetto stronzo bastardo!" Mormorai.

Mi misi in piedi, basta piagnucolare, dovevo arrivare solo alla macchina in fondo, ma anche quella mi abbandonò quella sera.

Giravo la chiave isterica, prendevo a pugni il volante, pestavo i pedali, ma quella restava ferma, impalata, un misero accenno di tosse.

Mi asciugai le guance, feci un lungo respiro.

Devo andare a piedi, pensai, sono un paio di chilometri, Jules puoi farcela.

Faceva un freddo cane, la gonna mi saliva ad ogni passo, tenevo le scarpe che mi aveva lasciato in mano, troppo alte, troppo scomode per tutta quella strada e camminavo veloce con la paura folle che qualcuno mi vedesse; per fortuna non stava passando nessuna macchina.

Avevo freddo ovunque, tranne lì, le mie parti intime bruciavano, continuavano a bagnarsi, il suo liquido caldo continuava a fuoriuscire tentavo di stringere le gambe e quella notte sembrava che tutto il cosmo ce l'avesse con me: cominciò a piovere, un istante dopo un grosso camion si affiancò schizzandomi le gambe nude.

Erano in due, mi guardavano dal finestrino con gli sguardi famelici, uno sull'altro per portarsi dal lato giusto dove entrambi potevano vedermi; il rombo del camion faceva sussultare la strada ed arrivava a vibrarmi nel petto, avevo paura, ero congelata.

Li sentivo rallentare, sentivo i loro occhi sul fondoschiena, poi acceleravano di nuovo, sorridevano ancora.

"Ti serve un passaggio bellezza?"

Scossi la testa, allungai il passo. Niente al mondo gli avrebbe impedito di portarmi su quel camion e fare di me qualsiasi cosa volessero. Io lo sapevo, loro lo sapevano, la pioggia non mi dava tregua, avrei voluto sparire, correre, ma le erbacce mi ferivano i piedi, inciampavo sui sassi.

Sentii la portiera aprirsi, mi arrivò la musica che ascoltavano là dentro, sentì il rumore del tizio che atterrava alle mie spalle con un salto; strinsi gli occhi, ero finita, senza più forze, senza la minima via d'uscita.

A quel punto arrivò una specie di angelo, si piantò con i fari davanti al camion, fece un paio di sgasate furiose, gli abbagliò con i fari.

"Siamo arrivati prima noi, pivello! Aspetta il tuo turno!"

Mi gelai... il tuo turno... la macchina lentamente se ne andò in retromarcia, mi sbracciai, cominciai a correre in quella direzione ma a quel punto il tizio mi aveva già afferrato per la vita, sentivo già la sua lurida bocca al mio orecchio, le mani sul seno.

"No..." piagnucolai, strinsi gli occhi.

Un attimo dopo il tizio mi aveva lasciato perché la macchina era tornata a tutta velocità, si era schiantata sul muso del camion e poi aveva fatto di nuovo marcia indietro, ed ora fumava sotto la pioggia, aspettava e ruggiva.

"Sali, Dale, quello è pazzo! Togliamoci di qui!'

Tra la pioggia, le lacrime, il bagliore dei fari vidi la sagoma del mio angelo, si avvicinò, mi tese la mano, mi trovai contro il suo petto.

Ma il mio angelo era cattivo, aveva il profumo di Lucas e i suoi stessi occhi, mi prese per la nuca e mi sbattè sul cofano.

"Ora mi sei costata una macchina... e pagherai, puoi scommetterci che pagherai!"

Sentii la sua mano che mi strappava le mutandine, il freddo del cofano sotto il seno, l'acqua continuava a scendere, mi gelava la pelle.

Un istante nuovo era di nuovo dentro di me, che spingeva, entrava senza pietà, arrivava fino in fondo pazzo dalla foga, era furioso.

"Hai visto Jules? Hai visto cosa succede a chi si veste da puttana come fai tu?"

Mi sculacciava, mi sbatteva la faccia contro il metallo della macchina e io non riuscivo nemmeno a parlare, mi si spezzava il fiato.

"Come puoi pensare di camminare in quel modo" rideva "stringi le gambe, tieni il culo stretto... ce l'avevi scritto in faccia! Mi hanno sodomizzata! Sei irresistibile... così indifesa, così puttana! Ti farò quello che volevano farti quei due poveracci! Te lo farò sentire, camminerai col culo ancora più stretto!"

Istintivamente portai le mani sul sedere, ma lui mi torse le dita, si fece spazio con l'indice e poi penetrò, senza la minima cura, fingendo di non sentire i miei urli. Entrò fino in fondo al primo colpo, lo sentii mugolare completamente soddisfatto, ancora e ancora.

Come ci godeva a mettermi sotto in quel modo, e io non smettevo di gridare nemmeno con la sua mano sulla bocca, tutti i piccoli taglietti che mi aveva fatto nemmeno mezz'ora prima si erano riaperti, bruciavano, mi facevano impazzire, aspettavo solo che qualche goccia di pioggia mi rinfrescasse; non finiva mai, non smetteva mai, colpiva ancora e ancora e godeva forse come non aveva mai fatto prima.

Poi sentii di nuovo quel grido più profondo e più lungo, di nuovo il suo seme caldo che mi fiottava dentro, che mi scendeva tra le gambe.

Mi afferrò per i capelli e mi spinse in auto, fece il giro e mise in moto.

Era bagnato di pioggia, accaldato, si mandava all'indietro i capelli totalmente soddisfatto mentre io mi ero accucciata in un angolo, tremavo, sentivo male dappertutto.

Inchiodò sgommando fino alla porta di casa mia, aspettò che riuscissi a schiavare la porta ma quando stavo per chiuderlo fuori mise un piede all'interno.

"Devi pulire!" Mi ordinò "inginocchiati!"

Guardai oltre le sue spalle, le case, le finestre chiuse, non c'era nessuno ma li eravamo comunque in mezzo ad una strada.

"Inginocchiati" disse di nuovo e già se lo teneva in mano.

Obbedii, me lo infilò fino in gola, lo strizzò per fare uscire l'ultima goccia, sorrise pieno di piacere.

"Domani ci vediamo al tuo ufficio! Telefono sempre in mano, non vestirti da puttana Jules. Quello lo farai solo per me!"

Se ne andò, sbattendomi la porta in faccia mentre ero ancora in ginocchio.

Mia ad ogni costoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora