[11] Spacciamo biscotti della fortuna nel cortile di Nyx

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S c a r l e t t

Quando Nemesi aveva detto di voler arrivare da Nyx in dieci minuti, intendeva davvero in dieci minuti.
E, normalmente, una persona media ci avrebbe impiegato qualche settimana.

Appena la dea aveva pigiato sull'accelleratore, avevo avvertito una sensazione di vuoto nello stomaco.
Quell'impressione si era poi intensificata, trasformandosi in vera e propria nausea.

E poi il mio corpo aveva seguito il movimento della motocicletta, ma il mio cervello ci aveva messo qualche secondo di ritardo per realizzarlo.
Perché la velocità a cui stavamo viaggiando, era tutt'altro che umana.

Se non mi fossi avvinghiata a Sam, sarei stata sbalzata all'indietro e rotolata sul giardino di Ethan: o meglio, sarei atterrata da qualche parte negli Inferi visto che, tempo un battito di ciglia, avevamo già lasciato l'Elisio.

Immagiai che la visiera consegnataci da Nemsi non avesse solo la funzione di caso protettivo: serviva anche ad evitare che la pelle si staccasse dal nostro cranio e gli occhi si incavassero.
Finalmente avvertii lo spostamento d'aria: un vento gelido, più veloce del suono, mi sfiorò il vestito e lo fece svolazzare all'indietro.

Tremai per il freddo e mi strinsi ancora di più alla mia amica.
Odiavo quella sensazione.
E odiavo rischiare di morire almeno tre volte al giorno.

Forse Nemesi aveva aperto bocca, ma le sue parole si dispersero nel vento.
Il casco mi copriva le orecchie, eppure continuavo a sentire un fastidioso fischio che mi stava fracassando i timpani.
Non avrei saputo dire se provenisse dalle ruote o dal catalizzatore che avevo in borsa, e non indagai più di tanto.

Svoltammo a sinistra, destra, sinistra, sinistra, di nuovo a destra, ormai non riuscivo più ad ambientarmi: non appena alzavo lo sguardo, il paesaggio mi sfrecciava davanti così rapidamente che mi costringevo a chiudere gli occhi per non vomitare sulla schiena di Samantha.

Riuscivo a cogliere solo piccoli tratti del panorama: terra rossa, forse qualche albero nero, figure troppo distanti per essere riconosciute.
Mi sembró quasi che stessimo volando e avrei giurato che le gomme si fossero staccate in più di un'occasione dal terreno.

Le mie dita rischiarono di perdere la presa ad ogni salto che la moto superava agilmente, o ad ogni sorpasso di qualche mostro che Nemesi affrontava in tutta tranquillità.
Ci trovavamo già nel Tartaro? Non sarei stata capace di provarlo.
Era tutto così confuso che mi sarei ambientata più facilmente sopra una montagna russa.

Ad un certo punto la moto parve quasi rallentare, per poi tuffarsi in una lunga discesa che mi fece rizzare tutti i capelli (che poi, dritti lo erano già da quando eravamo partiti). Era peggio di qualsiasi altra giostra possiate immaginarvi: il vostro incubo più terribile? In confronto a quello era una gita scolastica allo zoo.
Il mio stomaco era sul punto di redimere il pranzo del Giorno del Ringraziamento di otto anni fa.

Urlai, ma neanche la mia stessa voce giunse alle mie orecchie.
Non potei fare altro che sperare che quell'incubo finisse presto e stringere il busto di Sam con tutte le mie forze.
Le mie gambe si erano sollevate dal sellino e così avevano fatto quelle di Sam. Solo Nemesi se ne stava composta, perfettamente impassibile.
Quella caduta proseguì per cinque minuti buoni.

Era sfiancante resistere aggrappata alla mia amica ma, piuttosto che morire durante la caduta, avrei preferito tener duro per un'altra ora.
Oh, Zeus.
Perché mi vuoi tanto male?
Non potevi prestarci un jet privato per il Tartaro?
Perché proprio un passaggio suicida?

Quando mi ero abituata alla sensazione di vuoto sotto i piedi, la motocicletta toccó qualcosa di solido e le ruote ripresero a stridere sul suolo.
Non ebbi il coraggio di guardarmi attorno e rimasi con la fronte incollata sul sellino.
Per tutti gli dei.
Fate che finisca presto.

A Lie Can Kill (3) IN PAUSA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora