0. Icarus

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~𝓹𝓻𝓸𝓵𝓸𝓰𝓸~

«When the boy began to delight in his daring flight, and abandoning his guide, drawn by desire for the heavens, soared higher»

«Quando il ragazzo cominciò a gustare l'azzardo del volo, si staccò dalla sua guida e, affascinato dal cielo, si diresse verso l'alto»

Back to life - ZAYN

Tu.
Tu, non hai bisogno di contatto.
Come se continuare a ripeterselo, fosse sufficiente per dissipare la vana attrazione che Astrea aveva cominciato a provare per lui da, ormai, troppo tempo per poter recuperare i danni.

Il senso di nausea serpeggiava lungo le fauci, dietro le quali era compresso tutto ciò che avrebbe potuto trattenere.

Nodi, intricati, aggrovigliati, riannodati più volte intorno al collo, depositati nella gola come relitti in fondo al mare. Nodi che ti tengono ancorato a qualcosa che equivale a niente, un niente per cui Astrea avrebbe venduto l'anima pur di non sentirsi così tanto persa in un niente non suo.

E la superficie della pelle le prudeva, perché bruciava troppo lo sguardo fisso di Val sulla sua figura raggomitolata e in cerca di riparo.

I suoi occhi verdi la scrutavano, la studiavano e la pregavano di instaurare un contatto visivo, ma nulla da fare. Astrea era troppo delicata come una farfalla per farsi toccare e il moro questo lo sapeva bene.

Sollevò il mento dalle ginocchia piegate e raccolte davanti al petto, mentre le gambe cedevano sulla sabbia fina e gelida. Avvertiva il freddo punzecchiare la sua pelle, come filo spinato che si infilava sotto i suoi capi.

Il vento di quella notte, ripieno del sale raccolto dalle onde del mare, batteva sulla punta arrossata del suo naso e le scompigliava i capelli coprendole gli occhi di tanto in tanto. Ma non abbastanza da impedirle di vedere Val di sottecchi.

Il petto nudo e tatuato che brillava comunque, costellato da gocce d'acqua, sotto un cielo buio e privo di stelle con niente che potesse scalfire un uomo che di cicatrici ne portava fin troppe sulla pelle.
Tantomeno la folle idea di un gelido bagno di mezzanotte.

Assurdo, è da idioti, ragionò lei tra il macello che aveva per la testa, troppe cose da elaborare e sempre troppa paura per lasciarsi andare.

La cosa che avrebbe forse peggio o meglio sopportato era il silenzio assordante che perforava i suoi timpani. Nessuno dei due aveva lasciato una singola parola solcare le loro labbra increspate e serrate.

Lei era terrorizzata dal dire la cosa sbagliata ma sapeva anche che lui non avrebbe mai smesso di guardarla se non avesse aperto bocca.

Magari era un agnello impaurito ma era anche maledettamente testarda e non amava farsi mettere alle strette a brancolare nel buio in mezzo alle sue di difficoltà.

Non ebbe il coraggio di incrociare i loro sguardi nel momento in cui le parole scivolarono fuori con insicurezza, aveva rigide regole sul non invadere lo spazio degli altri, anche con semplici frasi di conforto, perché avrebbe autorizzato chiunque a poter fare altrimenti con lei. Affondò le dita contro le braccia non potendo stringere i denti, pregando di voler scomparire e cominciando a parlare «Vuoi dirmi cos'è successo?»

Il moro fece fatica a nascondere lo stupore suscitatogli da quella domanda. Pressò le labbra consapevole di quanto la voglia di rispondere fosse scarsa, ma per quella ragazza avrebbe fatto tutte le eccezioni del mondo.

Prolungò a lungo quell'occhiata scrutatrice mentre stava disteso sui suoi gomiti piegati, attendendo che venisse ricambiata ma Astrea non ne aveva mai avuto l'intenzione.
Aprì bocca non facendo caso a quanto avrebbe fatto male, pensare di averla vicino in quel momento lo faceva stare già meglio.

«Credo di aver volato troppo vicino al sole».

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