40. Measan-Ura

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Questa volta Iris non ci prova neanche a farmi cambiare idea. Abbassa la testa e la scuote sconsolata, ormai consapevole che nulla di quello che lei possa dire o fare riuscirebbe mai a distogliermi dal mio intento.

Sfoglio in fretta le pagine fino ad arrivare alla mappa di cui ci ha parlato Callàis qualche giorno fa e che riporta tutte le tappe della vita di Rohkeus dal momento in cui ha incontrato il Principe fino a oggi. In alto, fa bella mostra di sé una bussola disegnata a inchiostro nero con eleganti tratti, il cui ago punta in direzione del mezzelfo, invitandomi a seguirlo.

— Andiamo? — chiedo, mentre dentro di me combattono due speranze diverse: da una parte vorrei che si rifiutassero di accompagnarmi, perché, da quello che ho potuto vedere nel libro, liberare Rohkeus da Measan-Ura non sarà una cosa semplice e non vorrei che nessuno di loro rimanesse ferito o peggio; dall'altra però sto pregando affinché non mi lascino sola, nonostante tutti gli attriti e gli imbarazzi che ora si sono formati tra di noi.

Per un po' nessuno mi risponde, tanto che comincio a temere di essermi solo immaginata di aver posto la domanda.

— Andiamo — afferma poi Iris, senza esitazione nella voce. Evidentemente legge il sollievo sul mio volto, perché subito aggiunge: —Non ti lascerò soccombere da sola nella tua follia.

Alveus non dice nulla, ma, quando sposto lo sguardo su di lui, vedo che si sta sistemando la bisaccia in spalla, preparandosi a partire. Fa di tutto per non incrociare i miei occhi, mantenendo i suoi bassi come se la spallina della borsa fosse la cosa più interessante di tutto l'inferno, ma non si oppone e io lo prendo per un tacito assenso. Non un perdono, ovviamente, ma una specie di tregua in cui la necessità di rimanere uniti è più forte dei drammi personali.

Mi alzo, pulendomi il vestito dalla polvere, e faccio per avviarmi nella direzione indicata dalla bussola quando mi accorgo che Callàis è ancora sdraiato sul pavimento, immobile.

— Callàis, che stai facendo?

La mia domanda cade nel vuoto e devo porla un'altra volta prima che lui, a occhi chiusi, si decida a rispondermi: — Niente.

— Questo lo vedo.

— E allora cosa chiedi a fare?

— Alzati — gli ordino brusca.

— E se io non volessi venire con voi? — Socchiude appena gli occhi e mi guarda da sotto in su.

— Per tutti i fiumi, non ci credo che vuoi restare qui da solo, magari per sempre.

— La mia fame di conoscenza è stata saziata. Non che la cosa mi faccia piacere, avrei dovuto stare più attento a cosa desideravo, ma ormai è fatta. In ogni caso, il mio viaggio termina qui.

— Per favore, Callàis, non puoi dire sul serio — interviene Iris in tono accorato.

— Certo che no — affermo decisa, avvicinandomi al ragazzo a grandi passi. Una volta arrivata al suo fianco mi fermo e gli tendo una mano. — Su, alzati.

Lui la fissa con gli occhi stretti a fessura, scettico, e domanda in tono canzonatorio: — Hai paura di sentire la mia mancanza?

Non gli rispondo nulla, ma seguito a fissarlo senza muovermi neanche di un passo e alzando le sopracciglia in un muto ordine. Il suo viso si deforma nel solito sorriso affilato e lui afferra la mia mano, tirandosi su con un movimento svogliato. Poi si ferma davanti a me, stringendo la presa un attimo di troppo prima di lasciarmi andare.

— Muoviamoci, sono stanco di sentirvi frignare — afferma, fornendoci una scusa per il suo cambio di idea, ma in realtà lo vedo che sta ancora sorridendo. Si incammina verso l'uscita della biblioteca, e io lo seguo, con gli occhi di nuovo puntati sulla bussola.

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