3. Dieci primavere

376 47 61
                                    

Aranea non fa nemmeno in tempo a pronunciare la formula di apertura, che una luce rossa affilata come una lama taglia improvvisamente l'orizzonte.

Alle mie spalle, esplode una cacofonia di grida e pianti, ma io quasi non ci faccio caso. Rimango paralizzata a fissare il sole nascente con una vaga sensazione di consapevolezza, che si diffonde nel mio corpo come una goccia colorata in un bicchiere d'acqua.

Alveus mi scuote e cerca di convincermi a scendere dalla Roccia, ma io non reagisco. Per un istante i miei occhi incontrano quelli grevi della vecchia Aranea, poi una strana nebbia comincia ad alzarsi dal fiume.

È velocissima e dopo pochi attimi è così fitta che il volto dell'anziana ninfa sbiadisce davanti a me, cancellato delle volute di vapore. Faccio girare lo sguardo freneticamente, in cerca di un qualunque segno che mi confermi che sono ancora qui, nel mio villaggio, e non persa in qualche dimensione onirica, ma ormai non riesco più a vedere né a sentire nulla. Ogni suono è fagocitato da questa coltre bianca che ricopre il mondo come un sudario.

Alveus mi stringe la mano, che è ancora intrecciata alla sua, e questo semplice gesto mi rende di nuovo consapevole della sua presenza. Mi avvicino a lui in cerca del calore che il vapore sembra sottrarmi dal corpo. Brividi di freddo e di paura mi attraversano la schiena. La nebbia pare volermi soffocare, la sento premere anche all'interno del corpo come se stesse evaporando persino l'acqua che mi scorre nelle vene.

Lympha — sussurra suadente la nebbia.

Mi irrigidisco, sbarrando gli occhi. Quella voce.

No. Non è reale: non lo era allora e non può esserlo adesso. Me lo ripeto, cercando di convincermi, ma è inutile perché in fondo conosco la verità. L'ho sempre saputa. E ora il tempo è scaduto. Non appena lo realizzo, una paura folle mi attanaglia, tanto totalizzante da rendermi incapace persino di pensare.

Dieci primavere sono passate senza che tu abbia pagato il tuo debito. È ora che io mi prenda ciò che mi è dovuto. E che mi riprenda ciò che è mio, perché non c'è spazio nelle mie grazie per ladri e imbroglioni.

Per un attimo si fa silenzio, ma solo per permettere a quella voce di dare più enfasi alle ultime parole.

Di' addio al tuo amore. Gl'inferi saranno la sua nuova dimora.

All'improvviso mi sento congelare dentro, come se il mio cuore fosse diventato di ghiaccio e bastasse un alito di vento per farlo andare in mille pezzi.

Mi avvinghio alla mano di Alveus nel tentativo di trattenerlo, con la speranza di riuscirci grazie alla forza della mia disperazione, ma le dita del ragazzo si sfaldano tra le mie e io mi ritrovo a stringere il nulla. Lentamente la nebbia si dirada e con essa svanisce anche il mio promesso sposo. Quando riesco di nuovo a distinguere cosa mi circonda, sulla Roccia siamo rimaste solo io e Aranea.

Un grido straziante si leva nell'aria ormai limpida, facendomi rizzare i peli delle braccia. Mi volto e vengo travolta da Iris, che mi si getta addosso con violenza. Piange disperata sulla mia spalla mentre mi stringe così forte che le sue unghie mi graffiano la schiena lasciata scoperta dall'abito. Non riesco a capire se stia cercando conforto o se voglia farmi del male.

Non rispondo al suo abbraccio rabbioso e le mie mani rimangono ferme lungo i fianchi.

— Cosa hai fatto, Lym? Cosa hai fatto! — sussurra vicino al mio orecchio con voce stridente. L'unica cosa che riesco a pensare è che è la prima volta che ci tocchiamo da così tanto tempo che non so quantificarlo. Non ricordo quando abbiamo smesso di farlo.

— Sei un mostro! — urla infine, allontanandosi. Io sobbalzo, come se una lama mi avesse trafitto il petto. L'odio che trasuda dalla sua voce ha in me l'effetto del più potente veleno e le sue parole mi fanno più male di quanto io sia disposta ad ammettere.

Fonte limpidaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora