Capitolo 12

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Martina's P.O.V.

"Martina porta questi nell'ufficio della mia segretaria e ricordale che deve contattare il signor Rodrigo" mi dice mia madre, indaffarata tra mille e più documenti nel suo ufficio, mentre io sono qui per imparare il mestiere. Più che altro faccio su e giù tra i vari uffici, porto il caffè e faccio le fotocopie. Bell'impiego. I miei, mia madre più che mio padre, hanno avuto la brillante idea di farmi passare qui i pomeriggi per allontanarmi dalla musica, come se questa cosa fosse possibile. La musica fa parte di me e nessuno al mondo potrà mai separarmi da essa.

"Ehi Martina, come va oggi?" mi chiede Samuel, uno stagista.

"E' una noia mortale stare qua" sbuffo agitando i fogli che ho tra le mani, facendo sorridere il ragazzo dai capelli biondi e gli occhi color ghiaccio.

"Beh è ovvio se lo fai controvoglia" ribatte alla mia risposta, accennando un sorriso che mi irrita abbastanza. Non che io non sappia stare allo scherzo, perché so che sta scherzando, solo che... è una questione piuttosto delicata ed è meglio non infierire.

"Beh scusa se sono qui non per mia volontà" rispondo forse un po' troppo acida, vedendo la sua espressione sorpresa per il tono di voce da me assunto. "Scusami Samu, non volevo essere così scontrosa" sospiro pentita. E' un ragazzo davvero gentile e simpatico e spesso mi da una mano con i miei compiti in ufficio, quindi non merita di essere trattato così, anche perché non ha colpe.

"Ehi tranquilla" mi poggia le mani sulle spalle, facendomi sollevare la testa quel poco che basta per poterlo guardare negli occhi. "Si vede che c'è qualcosa che ti turba... se vuoi parlarne, puoi contare su di me" mi mostra il suo lato dolce e premuroso, quasi come se fossimo amici da sempre. Certo lo conosco poco, ma è un ragazzo affidabile e poi non c'è nulla di male se mi sfogo un po'.

"I miei genitori mi costringono a venire qui tutti i pomeriggi" sbotto, decidendo di fidarmi di lui. "In pratica hanno già deciso il mio futuro, senza tener conto di quello che IO voglio davvero" continuo, calcando bene sul pronome io. "E' la mia vita" sussurro alla fine, lasciandomi andare ad un abbraccio.

"Ehi Marti, h-hai provato a parlare con i tuoi?" chiede e dalla sua voce intuisco il suo imbarazzo.

"Si, ci ho provato" sciolgo l'abbraccio, ricomponendomi. "Ma loro non vogliono ascoltarmi" continuo sconsolata. Ormai è inutile, sono già tre settimane che va avanti questa storia. "Loro non ne vogliono sapere di quanto importante sia per me la musica" cerco di trattenere le lacrime. Non sono mai stata una piagnona, anzi, però questa situazione tende a farmi superare i limiti.

"Io voglio saperlo" dice con decisione, strappandomi un lieve sorriso. "Cos'è per te la musica?" chiede poi direttamente.

"Non saprei spiegartelo" gli sorrido, venendo ricambiata con un sorriso bellissimo. Quasi quanto quello di Jorge. Quasi, eh.

Ma cosa centra ora il caro Jorge?

"La musica mi permette di essere me stessa" provo a spiegare l'importanza di essa nella mia vita. "Cantare mi fa sentire libera, libera di poter dire e trasmettere quello che sento con la mia voce. Mentre con la danza... ballando, addirittura, posso fare questo senza nemmeno parlare" cerco di far comprendere quello che penso. "Fatto sta che non so spiegartelo bene, ma la musica fa parte di me, me la sento dentro e non posso farne a meno" concludo.

"Wow... poco profonda mi dicono" ridacchia per alleggerire la conversazione, coinvolgendo anche me in una lieve risata. "Ti ho capita si, ma ora voglio sentirti cantare qualcosa" mi esorta, facendomi sgranare gli occhi. E' per caso andato fuori di testa?

"Sei pazzo? Se i miei mi sentissero... sarebbe la fine" inizio ad agitarmi al solo pensiero di quello che potrebbero fare i miei se mi sentissero cantare. In realtà non saprei cosa farebbero, ma sicuramente non la prenderebbero bene.

Princesa// JortiniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora