14. It's time to leave this old black and white town.

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Osamu's pov.

Quando riapro gli occhi, non ci metto molto a capire di non trovarmi a casa di Rintarō. E non ci metto molto neanche a capire cosa possa essere successo.

«Raziel? Dove sei?»

È buio. Tutto, semplicemente, buio. Non riesco a trovare altri aggettivi per descrivere l'oscurità che mi circonda. Tastando il terreno con i polpastrelli, noto immediatamente di non trovarmi sulla spiaggia sabbiosa del Purgatorio. Il Purgatorio non è così arido, né tantomeno così silenzioso. Dopo essermi rialzato in piedi, confuso più che mai, noto una figura luminosa dirigersi lentamente verso di me. I suoi occhi color terra mi scrutano impassibili.

«Sommo Raziel.» Lo saluto, abbassando il capo.

La sua espressione rimane neutrale, perennemente impassibile allo scorrere della vita. «Remiel.»

Sembra scontato da dire, dato che noi angeli non invecchiamo, eppure Raziel sembra lo stesso di sempre. Occhi vacui, postura rigida e composta, espressione seria e capelli bianchi dalle punte nere perfettamente ordinati. Se non conoscessi la sua identità, credo lo scambierei facilmente per un diligente studente delle scuole superiori.

«Seguimi.» dice soltanto. «Voglio mostrarti una cosa.» Faccio come ordinato e le sue sei ali, poco a poco, rischiarano il buio in cui ci troviamo, rendendo visibile ciò che ci circonda. «Dove ci troviamo, secondo te?»

Nel guardare la calca infinita di anime dallo sguardo terrorizzato errare senza meta per la landa desolata in cui ci troviamo, la mia prima reazione è la mancanza di fiato. Aride zolle di terra, una coltre nera priva di stelle al posto del cielo, le urla delle anime dannate. In Paradiso è vietato parlare di questo posto, ma non è difficile intuire che ci troviamo all'Inferno.

«Noi... Noi non dovremmo essere qua...» mormoro, crollando sulle ginocchia. Improvvisamente, tutto ciò che sento sono le loro urla. Dolore, smarrimento, paura, supplica. La voce della loro disperazione penetra nelle mie orecchie come se un trapano stesse scavando a forza il mio cervello, impedendomi di ragionare a mente lucida.

Sofferenza. C'è solo sofferenza. Ed è tale da farmi venir voglia di urlare dal dolore.

«Se è per questo non sarei neanche dovuto venire a recuperarti dalla Terra, eppure indovina cosa ho fatto?»

Il mio primo pensiero corre a mio fratello. «Atsumu... Dov'è Atsumu...?»

Raziel socchiude gli occhi, lasciando trapelare dal suo sguardo lo spiraglio di una celata irritazione. «Uriel è con Azrael. È nella tua stessa situazione, se ti interessa. Per il tuo stesso motivo.» L'enfasi con cui pronuncia il nome di mio fratello mi fa rabbrividire.

Alzo lo sguardo verso di lui, sofferente. «Perché siamo qua?»

Lui volta lo sguardo verso le anime in pena. Sono immobili, paralizzate dal terrore, gli occhi fissi nel vuoto. «Dimmi cosa vedi.» Non risponde alla mia domanda. Io, senza neanche volerlo, mi sento forzato a guardare i fantasmi dei dannati, destinati all'eterna agonia.

«Sofferenza.»
«E come ti senti, nel vedere questa sofferenza?»

Tutto ciò che vorrei fare in questo momento è chiudere gli occhi e non riaprirli mai più. Le loro urla continuano a rimbombare nelle mie orecchie, senza mai zittirsi, trafiggendo continuamente la mia coscienza. Una lacrima scivola lungo la mia guancia, andando a schiantarsi sul suolo privo di vita. La terra assorbe con avarizia quella singola goccia di umanità.

«Come dovrei sentirmi, secondo te? Male. Mi sento male, Raziel. È come se la loro sofferenza stesse cercando di penetrare nella mia pelle e scorrere nelle mie vene. E fa dannatamente male.»

THE NEW BROKEN SCENE, osasunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora