8. A wasted heart that just eclipses.

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Mentre tiro su il cappuccio felpato del parka che indosso, alzo lo sguardo verso il cielo. Le bianche nuvole calanti avvolgono il paesaggio circostante in un violento abbraccio, limitando la vista e oscurando i dintorni con la loro fitta nebbia. Il cielo, normalmente caratterizzato da una spenta sfumatura di grigio, in questo momento non è che un immenso mare bianco, talmente puro da far male agli occhi.

Mi è sempre piaciuta la nebbia. Sin da quando ero piccolo, ho sempre amato passeggiare in mezzo alle nuvole, lasciando che il loro freddo abbraccio soffuso andasse ad avvolgere il mio corpo, debole e statico, sfinito da un'interminabile giornata priva di stimoli. L'ennesima giornata vuota, inutile, sprecata a pensare a come sarebbe potuta andare diversamente se. Se avessi avuto la forza di portare a termine ciò che mi ero prefissato. Se fossi stato in grado di ascoltare la lezione del giorno, a scuola, al posto di dormicchiare sul banco. Se mi fossi messo a studiare, al posto di leggere stupide fanfiction o a guardare intere stagioni di un anime. Se avessi ascoltato le parole dei miei genitori, al posto di ignorarli e rinchiudermi in camera a non fare niente. Se fossi stato in grado di rialzarmi in piedi, tirarmi su le maniche e sbattermi per dare un senso alla mia vita.

Ogni volta che uscivo a camminare fra la nebbia, da adolescente, mi limitavo a ficcarmi gli auricolari nelle orecchie e ad ascoltare i soliti due album pieni di canzoni tristi dai testi ancora più tristi. Spegnevo totalmente il cervello e chiudevo gli occhi, incurante delle macchine che avrebbero potuto investirmi da un momento all'altro. In quelle due brevi ore, per quanto sentissi freddo, stavo meglio. Non ero felice, né tantomeno i miei problemi erano magicamente scomparsi; eppure mi sentivo un po' meno morto. Immergendomi appieno nella musica e annegando nella nebbia, era un po' come se, in quelle due ore, mi fossi trasportato in un'altra dimensione. Un mondo dove i miei problemi non esistevano, un mondo dove potevo sentirmi libero, un mondo dove non ero tenuto a preoccuparmi della mia condizione mentale.

In quelle due, brevi ore, solo tre cose esistevano: io, la nebbia e la musica.

Non ero felice, né tantomeno i miei problemi erano magicamente scomparsi. Eppure mi sentivo un po' meno morto. Sentivo di star provando qualcosa di diverso dal solito alternarsi di apatia e dolore. Mi sentivo un po' più umano.

Oggi, le uniche cose ad esistere sono sempre tre: io, la nebbia, e Osamu. 

L'angelo è al mio fianco, sta camminando in silenzio, e sembra essere immerso nei suoi pensieri. Sta distrattamente creando delle effimere figure di ghiaccio sulle proprie mani, lasciandone fluttuare alcune nell'aria e permettendo alle altre di morire pochi istanti dopo. Io non posso fare a meno di rimanere a guardarlo ammaliato. I suoi capelli normalmente lisci sono ora un po' più arruffati del solito, increspati a causa dell'umidità. Nonostante il freddo, indossa una delle mie felpe più leggere e un paio di jeans strappati, come se il gelo neanche lo toccasse — cosa che, data la sua abilità, è assolutamente certa. Ha una semplice sciarpa blu attorno al collo. I suoi occhi, seppur distanti, non si lasciano sfuggire neanche il più piccolo dei dettagli: i rami degli alberi privi di vita, le erbacce che crescono fra le crepe del marciapiede, la brina sui tettucci delle macchine. Scruta l'ambiente circostante con un'attenzione ammirevole, come a voler imprimere ogni singolo particolare nella sua mente per non dimenticarlo mai.

Ai nostri occhi, che scene del genere se le ritrovano davanti ogni giorno, tutto appare irrilevante. Siamo talmente abituati a vedere quotidianamente una determinata cosa da arrivare a non farci più caso. A dare la sua presenza per scontata. Tuttavia, osservando Osamu, non posso fare a meno di riflettere su quanto sbagliato sia questo modo di pensare. Ognuno di noi, dentro di sé, tiene ancora nascosta la stessa curiosità e voglia di osservazione che l'angelo prova nei confronti della Terra. Ognuno di noi, ad un certo punto, dovrebbe cercare di riscuotersi dalla routine quotidiana e ripetitiva che ci tiene ancorati ai fatti più futili e iniziare ad apprezzare le piccole cose della vita che, col passare del tempo, abbiamo iniziato a dare per scontato. Il sorriso delle persone che ci vogliono bene. Le sfumature che il cielo assume quando sorge il sole. La presenza delle persone a noi care. La piacevole carezza del vento sulla pelle. Un "ti voglio bene" sincero, detto quasi per caso, detto quasi per istinto. Il suono delle foglie secche autunnali che scricchiolano sotto le scarpe. Sono quelle piccole cose che, alla fine, poi tanto piccole non sono. Piccole cose per cui essere grati. Piccole cose in grado di farci notare quel flebile spiraglio di luce alla fine del tunnel.

THE NEW BROKEN SCENE, osasunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora