Capitolo 1;

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'La tua storia è quello che sei.'

"Quando l'ultimo fiocco di neve si scioglierà, lei ritornerà" mi disse accarezzandomi dolcemente i miei lunghi capelli.

Mi mossi lentamente tra le coperte, in cerca di una posizione più comoda in cui stare.

"E quando lei arriverà, tutto cambierà" continuò a cantarmi mia madre, sempre accarezzandomi i capelli.

Chiusi lentamente gli occhi, il sonno stava cominciando a chiamarmi e io, da brava bambina che ero, non lo feci aspettare due volte e mi addormentai, sempre con la voce armoniosa di mia madre che continuava a canticchiare quella storia.

Era una storia un po' particolare, era stata tramandata da madre a madre e veniva sempre cantata alle figlie nella loro giovane età, prima di farle addormentare. Ai maschi no, era proibito sentirla.

"Tutto cambierà in meglio, tutto cambierà in meglio.."

Furono le ultime parole che le sentii cantare prima di sprofondare in un dolce e profondo sonno, accompagnato da tribù indiane e da bellissime ragazze che stregavano gli uomini.

Si, da piccola avevo una fantasia un po' fervida.

"Ma sei sorda?!" urlò una voce maschile "Mi sta spaccando i timpani quell'aggeggio infernale! Spegnilo e alzati!"

Mi mossi stancamente nel letto, cercando di non far disperdere nel vuoto la voce di mia madre, la sua dolce e bellissima voce.

"Ti ho detto di spegnerlo!" continuò ad urlare.

In tutta risposta mi tirai su le coperte, fino a coprirmi tutta la testa.
Non volevo svegliarmi, non volevo perdere quel contatto, seppure breve e non reale, con mia madre.
Non volevo alzarmi e dover affrontare quella vita.
Non volevo alzarmi e basta.

E fu così che, Andrew, mi scostò bruscamente le coperte che erano strette sul mio corpo via, facendole cadere sul pavimento.

"Quando parlo tu non mi ascolti, eh?" tuonò minaccioso.

Il freddo pungente di quella stanza mi colpì in pieno, facendomi rabbrividire e portare automaticamente le mie mani intorno alle mie braccia, strofinandole contro la pelle nuda in cerca di calore.

"Si, ti ho sentito, ora mi alzo" sbuffai senza guardarlo in faccia.

Ancora non ce la facevo a guardarlo in faccia, ad affrontarlo o a portare avanti un discorso che non comprendesse cinque o sei parole in croce.
Ancora non ero pronta ad accettarlo nella mia vita e penso che nemmeno lui fosse pronto, o meglio dire non mi volesse proprio.
Era come se cercasse in tutti i modi di evitarmi: quando ero in una stanza e lui anche, si limitava a cacciarmi via o ad insultarmi, facendomi credere che io fossi la responsabile di tutto quello.

Certe volte arrivavo al pensarlo davvero.
Lui me lo faceva credere, i miei demoni me lo facevano credere.

Andrew grugnì "Non voglio problemi, chiaro? Quindi muovi quel culo e vattene."
Poi si girò e lasciò la stanza, sbattendo la porta dietro di sè.

Sussultai quando sentii quel rumore forte e, quando fui sicura che lui se ne fosse veramente andato, mi alzai dal letto ormai spoglio e raccolsi la coperta grigia da terra, riportandola sul letto e cercando di sistemarla nel miglior modo possibile.

Non ero una grande esperta nella pulizia e nell'ordine casalingo, di solito ci pensava mamma ma, da quasi un anno, ormai ero io quella che faceva tutto.
Avevo imparato le cose basilari in quello stupido manicomio o centro -come lo volevano chiamare- mi avevano costretto ad impararle alla fine. E da lì, alla fine, avevo cominciato ad arrangiarmi sempre da sola, escludendo tutti e cercando di non farmi mai aiutare da nessuno.
Volevo dimostrare agli altri ma più a me stessa che ero in grado di cavarmela da sola.

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