Capitolo 3: Cambierai idea.

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Corro.
Il vento mi scompiglia i capelli, e mi sento libera. Mentre le mie gambe si muovono veloci, mi sembra di essere fuori dal tempo, ed è una sensazione magnifica.

Ci sono punti negativi nell'essere un demone, è vero, ma ci sono anche punti positivi.
Uno di questi punti positivi, appunto, è la velocità con cui corro.
L'ho già detto, le abilità che hanno gli umani... be', io le ho amplificate di almeno mille volte.

Il resto della giornata è andato bene: occhi marroni non si è fatto vedere.
Per fortuna, direi.

Dopo poco tempo arrivo nel posto in cui è presente la mia dimora.
È veramente nel bel mezzo del nulla, ma a me piace così perché ci sono meno rumori, meno persone. Soprattutto meno persone: mi stanno un po' tutti sul cazzo.

È una casa molto grande, devo ammetterlo. Da fuori è piuttosto scura e mette un po' di timore, ma all'interno è abbastanza accogliente, soprattutto grazie all'odore dei biscotti della signora Denvers.
Comunque sia, nessuno si avvicina mai a questa casa.
Dopotutto è la casa della figlia del diavolo.

Apro la porta e saluto la signora Denvers, che sta leggendo un libro seduta sulla sua poltrona.
Credo sia proprio incollata sopra.
Mi guarda con i suoi occhi azzurri e sorride, mostrando due piccole fossette sulle guance.

«Salve signorina. Com'è andata la sua giornata?» chiede.
«Come al solito» dico, andando verso il frigo, per prendere qualcosa da mangiare.
«Sa, è arrivato un ragazzo, l'ho incontrato stamattina» dice senza alzare gli occhi dal libro.
«Lo so... Peter Argent» gli dico, prendendo una birra visto che non c'è nulla da mangiare, «Comunque, che cos'ha? Ho sentito la sua tristezza senza nemmeno toccarlo.»

Solo a pensarci mi tremano le mani.

«Sembrava normale questa mattina» riflette, «Perché non glielo chiede?»

La guardo male, perché sa che non mi piace parlare alle persone, soprattutto con gli umani.
E poi non posso mica dirgli "Ehi ciao, perché sei così triste?". Non risponderebbe mai sinceramente.

«Che palle» sospiro salendo le scale che portano al secondo piano, dove si trovano la mia camera, il bagno, e la stanza degli ospiti.

Sono curiosa di sapere che cosa nasconde il novellino, ma non ci faccio caso. Devo lasciar perdere.

La mia bocca è attaccata alla bottiglia mentre finisco di salire le scale.

Esco in terrazza, e ci trovo il mio diavoletto di compagnia. Il mio cagnolino è steso sul divano, e quando mi vede comincia ad abbaiare e a girarmi intorno. Poggio la bottiglia e lo prendo in braccio.
Accarezzo il suo pelo nero, mentre lui mi lecca il viso.

«Evil, per tutti i gironi dell'inferno, calmati!» sbuffo, anche se la situazione mi diverte un po'.

In tutta risposta lui abbaia, e mi siedo sul divanetto, con lui ancora in braccio.

Evil è un regalo che mi ha fatto mio padre.
Un regalo è un parolone...

Ricordo ancora la prima volta che ho visto questo mostriciattolo. Cerbero, il cane a tre teste di mio padre, aveva avuto dei cuccioli, non si sa come. Avevano tutti tre spaventose teste, e non facevano altro che abbaiare e mordere chiunque si avvicinasse. Evil invece aveva una testa sola, ma in compenso tre piccole code invece di una. Si faceva accarezzare da me, per questo mio padre voleva mandarlo via dall'Inferno.
Ecate però ha insistito nel lasciarlo vivere, perché è una Dea che adora i cani, e non poteva sopportare la morte di quel cucciolo.

Così me lo sono preso io, e l'ho sempre trattato bene. Credo sia una delle pochissime persone a cui tengo davvero.

L'ho chiamato Evil, anche se non è malvagio come dovrebbe essere.

Occhi da DemoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora