Capitolo 48: Scelta molto saggia, Stella Del Mattino.

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«Aideen cara, desideri qualcosa da bere?» chiede la donna dai lunghi capelli biondi.
«Sto bene, grazie.»

Peter guarda male sua madre, mentre io cerco di mimetizzarmi con il muro.

Dopo aver parlato con Katherine mi sono presentata a casa del novellino senza preavviso, ed è sua madre che mi ha aperto la porta. Quella donna è talmente gentile e accogliente che mi mette a disagio.

«Mamma, non assillarla...» il novellino sembra accorgersene.
«Va bene, va bene» ridacchia la donna, «Tanto io adesso devo uscire a fare qualche commissione...»

Si avvicina alla porta e prende una sua borsa.

«Desmond sta ancora dormendo, se si sveglia digli che può anche fare merenda» dice a suo figlio, prima di salutarmi e uscire di casa.

Desmond, il cucciolo di umano... A sentire il suo nome mi viene in mente quando l'ho visto mentre Arrow gli rimuoveva la memoria.

Mi giro verso il novellino, che sta ancora guardando la porta da dove è uscita sua madre.

«Mi dispiace per l'ultima volta...» gli dico abbassando un poco gli occhi.
«Non dire così, gli hai salvato la vita» ribatte Peter, girandosi verso di me, «Ci ho riflettuto a lungo, e il fatto che non si ricordi nulla è davvero un sollievo. Sarebbe stato un trauma per lui.»
«E per te invece?» chiedo.

Per me una scena del genere non era nulla, ma per un umano...
Peter fa un debole sorriso, insinuando molte cose. Forse a volte si sveglia la notte, per paura di vederli tornare e sparare di nuovo al suo fratellino.

Anche se non ha risposto, non cerco di capirne di più. Il novellino mi fa segno di seguirlo e saliamo le scale fino in camera sua.

«Non mi hai detto perché sei venuta qui» dice, quando chiude la porta della sua stanza.
«Volevo vederti, e poi mi sento in debito con te» alzo le spalle, avvicinandomi alla sua scrivania.

Non è esattamente la verità, ma glielo faccio credere.
Dopo le notizie di Katherine, voglio solo passare del tempo con le persone che non potrò rivedere. E poi, il fatto che io sia innamorata di lui...  

«Che cosa... E perché?» chiede, confuso.

Mi giro verso di lui, e lo trovo seduto sul suo letto. Indossa una maglietta un po' troppo grande per lui, e dei pantaloni della tuta. Anche se siamo in estate, qui non fa molto caldo.

Non ero ancora entrata nella sua camera, ma essa non ha niente di speciale: il letto prende quasi tutto il posto, seguito dalla scrivania di legno e un armadio anch'esso marrone.

«Mi hai raccontato una cosa molto personale, e quando sei stato tu a chiedermelo, prima... Io non l'ho fatto» distolgo lo sguardo.
«Aideen... te l'ho già detto che non devi fare niente che ti dà fastidio o ti mette a disagio quando sei con me.»
«Lo so, ma mi sento in debito lo stesso.»

Salgo anche io sul suo letto, e mi siedo vicino a lui, che si affretta a lasciarmi spazio.

«Voglio raccontartelo, adesso che siamo soli» gli dico.
«Ma c'è anche mio fratello-»
«Lo vuoi sapere o no?» sbuffo interrompendolo.

Lui mi guarda un po' divertito, poi annuisce. Sospiro, anche se mi era venuto da sorridere anche a me. Mi appoggio a lui, la testa contro la sua spalla.

«Ti ho già detto tante volte che il tempo che ho passato al paradiso è tutto sfocato, ma ci sono cose che ricordo bene» comincio a dire, «Vivevo con mia madre, nel suo palazzo. Era molto bello, eppure non saprei descriverlo.»

La ricordo benissimo, quella che una volta era la mia casa, eppure non riesco a dirlo a parole. Come se fosse qualcosa di proibito.

«Io non facevo le stesse cose che facevano i bambini intorno a me: gli angeli venivano istruiti dagli anziani, mentre io stavo solo con mia madre» racconto, «Certe volte uscivo per giocare con gli altri... ma non mi guardavano molto bene.»

Occhi da DemoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora