Capitolo I. Pessime idee e cattive abitudini

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Quando Mithrandir gli aveva chiesto di ospitare la creatura nelle sue celle, Thranduil non lo avrebbe mai pensato un compito così gravoso. Ora, nel vederla alla luce del pallido sole che filtrava tra i rami contorti di Bosco Atro, la creatura lo riempì di un terrore che a lungo lui aveva tenuto a bada.

«Alberi, alberi e alberi. Brutti e morti, solo alberi! Non li vogliamo vedere, gollum, gollum».

La creatura trascinò mani e piedi per terra, camminando come una bestia, poggiandosi sulle mani, le ginocchia piegate e i piedi enormi, pelosi e incurvati. Non sembrava aver molta voglia di passeggiare, le uniche cose che ripeteva da quando era arrivata – che fosse nella cella o fuori – erano gollum e tesssoro. Ma la guardia che la teneva al guinzaglio la tirò, finché con una serie di maledizioni la creatura non la seguì.

«Gli Elfi non capiscono, gli occhi degli Elfi sono bui e ciechi. Noi lo dobbiamo trovare, tesssoro, dobbiamo ritrovarlo, in ogni luogo, e invece no, gli Elfi ci portano a camminare tra i loro alberi morti» sibilò, come a ogni passeggiata e a ogni tentativo di prendersi cura di lui. Il resto delle sue chiacchiere si perse in un fiume di insensatezze.

«Cammina e non fare storie» disse la guardia alle sue spalle e la spinse con l'asta dell'alabarda.

«No, no, lasciateci, non vogliamo–».

Tutta quella follia pesava sul cuore di Thranduil. Quello era una fardello che non avrebbe dovuto accollarsi, l'ennesimo segno del male che si stava radunando a Sud e che avevano lasciato prosperare per millenni. Ma si era preso quella responsabilità, nella speranza che il suo popolo potesse guarirla e che guarire la creatura avrebbe reso più concreta la possibilità di guarire la foresta.

Iniziava a dubitare di quella possibilità, sentiva l'oscurità filtrare attraverso la sua pelle a ogni anno, oscurargli i pensieri e la vista e gettarlo nella disperazione. Forse avrebbe finito per soccombere anche lui e trasformarsi, come si era trasformata la creatura.

Seduto al suo fianco, Legolas sospirò. «Dobbiamo proprio tenerlo in questo modo?»

«Non lasciarti ingannare dalla sua pazzia, quella è una creatura pericolosa» disse Thranduil. Quegli occhi dimostravano una crudeltà e un'ossessione che le parole sconnesse non riuscivano a rendere. E non aveva dimenticato quella guardia, così ingenua, che aveva pagato la sua ingenuità con la vita. «Mithrandir è stato chiaro a riguardo: non possiamo permetterci che ricada nelle mani del Nemico».

Thranduil non era sordo ai pensieri di Legolas: vedeva il lato pietoso di quella creatura, pallida e ossuta, ma capiva anche cosa la ossessionasse. Non si era parlato di altro nei primi due incontri del Bianco Consiglio.

Forse Legolas dimenticava la battaglia in cui suo nonno e due terzi del suo esercito erano morti, il motivo per cui era stata combattuta e gli anni bui che l'avevano preceduta. Ma Thranduil non aveva quella capacità: vedere la sua foresta invasa dall'oscurità e dai ragni giganti faceva riaffiorare memorie che non erano mai state del tutto sepolte. La corona sulla sua testa gli ricordava ogni giorno a quale prezzo l'aveva attenuta, gli appartamenti reali vuoti gli ricordavano quanto gli erano costate le illusioni di pace.

La creatura piagnucolò e afferrò la corda.

Thranduil ne ebbe abbastanza. «Riportatela nella sua cella, per favore».

Al suo fianco, Tauriel gli rivolse un mezzo inchino. «Subito, sire» disse e raggiunse le due guardie che scortavano la creatura.

Thranduil sollevò lo sguardo verso l'albero spoglio sotto cui si era fermato. Forse avrebbe dovuto allontanarsi da quella corruzione, salpare verso Ovest – là dove regnava la pace e la luce, là dove avrebbe potuto lasciarsi consolare dalla braccia di sua madre e attendere il ritorno di Arodel.

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