Capitolo 9

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Avevo conosciuto Marco alla festa di San Valentino. Si era avvicinato con la scusa di offrirmi qualcosa da bere e io avevo accettato. Io avevo preso un succo all’ace e lui un Vodka Lemon. Non vendevano alcool ai minorenni ma anche se lo avessero fatto non l’avrei voluto. Non avevo mai bevuto a eccezione di un assaggio ogni tanto e non avevo intenzione di iniziare, almeno per il momento. Eravamo andati a sederci ad un tavolo e avevamo mangiato stuzzichini e scherzato per tutto il tempo. Lui aveva 18 anni.  I capelli colore dell’ebano e gli occhi marrone intenso. Quella sera indossava una camicia bianca e dei jeans. Aveva appositamente lasciato i primi due bottoni della camicia aperti e si vedevano i suoi bellissimi pettorali. Non l’avevo mai visto a scuola e neanche in giro per la città quindi non avevo la più pallida idea di chi fosse.

Ci eravamo scambiati i numeri di telefono, così, un po’ per gioco un po’ per interesse e avevamo iniziato a frequentarci. Uscivamo ogni tanto con i suoi amici, ogni tanto con i miei, ma mai da soli. Nonostante mia madre non si preoccupava molto di con chi uscivo non lo facevo. Ero sempre stata un tipo abbastanza chiuso e timido, inoltre facevo abbastanza fatica a fidarmi delle persone. Dovevo conoscerlo in  modo abbastanza approfondito prima di potermi fidare e essere tranquilla che non mi avrebbe fatto niente di male. Solo dopo tre mesi che lo conoscevo infatti ho acconsentito per la prima volta ad uscire da soli. Non eravamo fidanzati e non si capiva se lo saremmo mai stati. Fino a quel momento era l’amico con cui uscivo e del quale ero un po’ attratta. Sicuramente non era amore e non sapevo se lo sarebbe mai diventato, ma a me andava bene cosi. Insomma, non ero una di quelle ragazze che è disperatamente in cerca del principe azzurro o freme per dare il suo primo bacio. L’idea del fidanzato non mi entusiasmava particolarmente sebbene dovevo riconoscere che ogni tanto mi fermavo a pensare quanto potesse essere bello avere qualcuno che pensa solo a te e che stravede per te. Qualcuno per cui sei il primo pensiero la mattina quando si sveglia e l’ultimo la sera quando va a dormire. Insomma qualcuno che mi desse quell’affetto che avevo sempre cercato e mai avuto e qualcuno che mi facesse sentire veramente importante.

Ricordo come se fosse ieri la prima volta che mi baciò. Fu quello il giorno in cui capii che in realtà ero fregata.
Camminavamo lungo la stradina che dal centro della città portava a casa mia. Mi riaccompagnava sempre a casa Marco, per paura che mi perdessi, perché aveva paura che qualcuno potesse aggredirmi o probabilmente solo perché lo riteneva un gesto carino e cortese. Io stavo bene con lui. Scherzavo e ridevo come facevo solo con Emi e Ciro.
Quel giorno stavo scappando da lui che mi rincorreva. Mi ero nascosta dietro un albero quando lui mi aveva preso una mano e mi aveva fatto voltare verso di lui. Dolcemente le sue mani avevano  lasciato la mia e si erano concentrate sul mio viso. L’avevano preso e delicatamente avevano avvicinato le mie labbra alle sue. La nostra non era semplice amicizia, lo sapevo dal primo giorno. Lui era rimasto colpito dalla ‘sua principessa dai boccoli biondi’ e io mi ero lentamente innamorata di lui. Non sapevo se lui fosse innamorato di me, alla fine i maschi non si innamorano quasi mai, eccetto quelle rare persone che credono che un sorriso sia molto meglio di un bel fisico. Di queste persone non ne avevo incontrata praticamente nessuna, a cominciare da mio fratello Mattia.
Da quando si era trasferito ci sentivamo molto meno. Ci mandavamo spesso e-mail nelle quali ci raccontavamo come andava. Mi raccontava spesso delle sue avventure con delle ragazze conosciute nella zona dove viveva o in qualche bar. Mi parlava della loro bellezza. Aveva per lo più storie di qualche settimana o semplicemente delle serate di divertimento. Probabilmente anche lui, con l’esperienza della mamma, non considerava innamorarsi la cosa più spensierata e facile al mondo. Non aveva intenzione di soffrire come la mamma ed essendo un ragazzo non sentiva nemmeno il bisogno di innamorarsi, al contrario invece di quello che poteva essere per una ragazza. Si sa, la maggior parte delle ragazze sente la voglia, ad un certo punto, di essere amata sopra ogni cosa, di essere la prima scelta per qualcuno e magari ha anche la forza di reagire, più di un ragazzo. Non gli avevo ancora parlato di Marco. Mattia era un tipo molto geloso e protettivo con me, di sicuro se gli avessi raccontato tutto avrebbe informato la nonna per farmi tenere d’occhio e limitare le mie uscite e la nonna non aveva bisogno anche di quest’altra preoccupazione.

Di Marco mi colpivano le cose semplici. Ero innamorata della sua risata, del fatto che mi abbracciasse se qualcosa non andava, di come mi guardava con quegli occhi che in fondo facevano trasparire un po’ d’amore.
Non lo avevo mai portato a casa e non ero mai andata neanche io.  Eravamo usciti più spesso da soli da quando stavamo insieme e devo dire che inizialmente avevo paura che la conversazione si sarebbe interrotta e non avremo più avuto di che parlare ma non fu così. Tutte le volte che uscivamo avevamo di che parlare o se non c’erano argomenti interessanti semplicemente parlavamo del più e del meno. Non sapevo molto della sua famiglia se non che non fosse particolarmente agiata. Vivevano non troppo lontano da casa mia, cosi, ogni tanto, quando camminavo per tornare a piedi a casa mia passavo in quella zona nella speranza di trovarlo a camminare su qualche marciapiede o semplicemente seduto nel giardino di casa, ma ancora non ero riuscita a capire quale fosse precisamente la sua casa. Lui non sapeva praticamente niente della mia famiglia, considerando che non aveva mai fatto domande quando riaccompagnandomi a casa non aveva mai visto la macchina di mia madre nel garage sempre aperto o quando non gli avevo detto che mia madre o mio padre volevano conoscerlo. Di solito nel nostro paese era usanza che quando due ragazzi si fidanzassero, lui andasse dal padre, o nel mio caso dalla madre, per chiedere se poteva portare la loro figlia fuori a cena o semplicemente per presentarsi. Naturalmente io non gli avevo mai chiesto di fare una cosa del genere e d’altronde neanche mia madre, che non sapeva della sua esistenza. Se anche l’avesse saputo, poi, dubito che avrebbe avuto tempo per pensare di incontrarlo.
Il giorno in cui gli raccontai tutto eravamo seduti su una panchina nel parco in centro. Lui mi aveva raccontato di sua sorella che aveva otto anni e che voleva imparare a suonare il pianoforte ma i suoi genitori non potevano permettersi di comprare un pianoforte con quello che guadagnavano. Non gli avevo chiesto io di raccontarmi di sua sorella e lui non mi aveva chiesto di raccontargli della mia, semplicemente non ce la facevo più a tenergli tutto nascosto. Prima o poi ne sarebbe inevitabilmente venuto a conoscenza e a quel punto magari sarebbe potuto essere troppo tardi, mi avrebbe reputato una bugiarda e non avrebbe più voluto avere a che fare con me. Era un mese e poco più che stavamo insieme e così gli raccontai tutto. Gli raccontai di quel maledetto venerdì sera in cui mio padre e mio fratello non tornavano e l’ospedale ci aveva chiamato. Di quando una volta in ospedale io e mio fratello eravamo rimasti ore in sala d’aspetto per sentirci annunciare dallo psicologo che nostro padre era morto. Di quando il giorno del funerale non versai neanche una lacrima e di quante invece ne versai dopo. Di quando la mamma non c’era e io e Mattia ce l’eravamo cavata da soli e anche di quando invece io ero stata costretta a cavarmela da sola perché neanche Mattia era più con me. gli raccontai dei miei stati d’animo e di tutto quello che avevo passato fino a quel giorno. Parlai per oltre mezz’ora e lui non batteva ciglio. Mia ascoltava come se la mia voce fosse l’unica cosa che le sue orecchie avessero mai voluto sentire. Dopo che ebbi finito mi abbracciò per interminabili secondi e mi disse che mi reputava una persona forte. Non doveva essere facile tenersi dentro tutto quello che avevo e che avevo passato. Era pomeriggio presto e la mamma era a lavoro. Da quando aveva parlato con la nonna, due giorni a settimana lavorava anche di pomeriggio. Decisi di chiedere a Marco se voleva accompagnarmi a trovare Cristian in ospedale e lui annuì. Era il mio modo di fargli capire che mi fidavo di lui e volevo renderlo partecipe della mia vita. Non avevo mai permesso a nessuno di accompagnarmi in ospedale se non alla mamma o a Mattia. Nemmeno a Emi o Ciro. Quello era un momento mio in cui volevo stare da sola, senza nessuno intorno, ma decisi che era giusto che Marco venisse. Stette in silenzio per tutto il tempo mentre io gli mostravo le foto che erano sparse per la camera o i vari giochi che gli avevo portato quando ero piccola, mentre gli raccontavo ogni minimo particolare esistente in quella camera. Mi sentivo finalmente libera e leggera come mai prima dell’iincidente.

Il domani non fa più pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora