Capitolo 16

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Con il passare del tempo il dolore si era in parte trasformato in rabbia. Rabbia verso mia madre. Verso quella madre che avevo sempre cercato di capire e di giustificare in qualche modo, e ogni tanto ci ero anche riuscita. Ci ero riuscita a pensare che forse lo faceva per un motivo, lo faceva perché era delusa dalla sua vita e da quello che era la sua famiglia. Poi però tornavo a pensare che lo faceva solo perché ce l'aveva con se stessa, non gliene importava niente di me, di cercare di salvare la figlia che gli era rimasta. Io ci avevo provato in tutti i modi a cercare di farla ragionare. Nei mesi seguenti al giorno in cui l'avevo trovata in quel bar a bere avevo cercato di parlare con lei, ma come suo solito non mi aveva ascoltato. Si era arrabbiata con me perché mi intromettevo in cose che non mi riguardavano. Nonostante le avessi detto che lei mi riguardava, che le volevo bene, non aveva sbattuto ciglio. Avevo cercato di toccarla con le mie parole, per farmi aiutare a ricostruire un qualcosa dalle macerie della nostra famiglia che erano rimaste. Lei mi aveva guardato fissa negli occhi per tutto il tempo in cui io avevo parlato. Non aveva aperto bocca o distolto mai lo sguardo. Aveva educatamente aspettato che io finissi di parlare e poi aveva esclamato 'dove l'hai preso questo discorso?'. Non credeva che quelle parole venivano dal mio cuore, che io credevo in ogni singola cosa le avessi detto. Era stato quello il momento in cui la rabbia aveva preso il sopravvento su di me. Mi ero alzata dalla sedia con la velocità della luce, lasciandola cadere a un lato della cucina. Mi ero avvicinata alla sua faccia e avevo esclamato con tutto il dolore, la delusione e la rabbia che avevo in corpo 'sei solo un'egoista, pensi solo a te stessa.' Come al solito non aveva reagito, si era tirata leggermente indietro e mi aveva risposto dicendo 'non urlare, mi fa male la testa.'

Da quel giorno non più una parola, non più uno sguardo o un collaborare per il pranzo della domenica. La nonna e la zia non si erano accorte della tenzione che c'era tra di noi perché per quelle due ore in cui eravamo tutte insieme a pranzo la tensione tra noi evaporava. Ci comportavano come se niente fosse successo. I giorni passarono velocemente, e cosi le settimane. In casa regnava un silenzio di tomba e nessuna delle due aveva la minima intenzione di cambiare la situazione. La mamma aveva ripreso a non tornare a pranzo e a cena molte volte e cosi io andavo dalla nonna. Quando mi chiedeva perché la mamma non fosse tornata dicevo che non lo sapevo con precisione ma mi aveva accennato che il lavoro andava bene e aveva avuto un aumento di ore e di stipendio. La nonna ci aveva creduto e non aveva chiesto più nulla. Le ore che passavo con lei erano le uniche in cui mi sentissi meglio. Uscivo da quella bolla in cui vivevo a casa, quella bolla che aveva aria viziata, difficile da respirare e riuscivo a prendere una boccata d'aria pulita quando ero con lei. Come le balene, che stanno per un po' immerse nei fondali marini ma poi per respirare hanno bisogno di raggiungere il punto in cui l'oceano tocca il cielo. Cosi, mentre mia madre si distruggeva la vita e distruggeva anche la mia indirettamente, la nonna cercava di salvarmela. Era un continuo rompersi e riaggiustarsi ma le crepe si facevano sempre più profonde e prima o poi nessuno sarebbe più stato in grado di riaggiustarle. I silenzi tra me e mia madre erano diventati la colonna sonora di un film muto in cui la protagonista finiva suicida. Ogni silenzio, ogni sguardo negato, ogni lacrima non versata era un dolore unico, un peso aggiunto al macigno che già portavo sulle mie spalle.

Il domani non fa più pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora