Capitolo 6

76 5 0
                                    

‘Nonna sto dicendo la verità. Papà è stato con me tutta la sera e ci siamo addormentati insieme. Stamattina però non c’era più e non l’ho visto per tutta oggi. Sono sicura che tornerà.’

‘Bambina mia, non credo sia possibile una cosa del genere, non trovi?!’

‘Tutto è possibile, basta volerlo.’

‘E da quando sei diventata cosi filosofa?’ la nonna mi aveva rivolto un sorriso di compassione mentre pronunciava queste parole, consapevole anche lei che forse ero diventata filosofa troppo presto.

‘L’ho sentito da qualche parte.’

‘Adesso mangia la tua minestra.’

Nonna era molto più paziente di sua figlia con me. Probabilmente non era stata così anche con i suoi figli ma con l’età che avanzava diventava sempre più tenera. Spesso mi viziava ma era una nonna modello che aveva cresciuto una terza figlia. Se avessi fatto questo discorso con la mamma probabilmente si sarebbe alzata e sarebbe andata via senza neanche farmi finire di parlare. Nonna mi chiese se avevo parlato con mamma di questa faccenda e io risposi di no. Gliel’avevo detto la sera prima ma lei aveva preferito occuparsi delle zucchine e io avevo preferito non riprendere più il discorso. Probabilmente anche il solo pensiero doveva ancora farle piuttosto male. Al contrario di mia madre, nonna mi aveva permesso di parlare per tutto il tempo. Non ero convinta che alla fine mi avesse creduto realmente però ci speravo. Quello che le avevo detto era vero, non me l’ero immaginato, io l’avevo vissuto realmente.

‘Che ne dici se oggi pomeriggio ti porto da un signore che può aiutarti e può spiegarti meglio quello che è successo?’

‘Certo nonna, vengo volentieri da uno psicologo.’

‘Come sai che sto parlando di uno psicologo?’

La nonna rimase a bocca aperta. Sapevo molte più cose di quante credesse e di quante sa una normale bambina di otto anni. Sapevo ad esempio che Babbo Natale non esisteva da quando avevo sei anni.
La viglia di Natale di quell’anno non riuscivo a dormire. Natale non era più come quando c’erano papà e Cristian però a me emozionava lo stesso. Mi giravo e rigiravo nel letto aspettando di addormentarmi in modo che la notte passasse più in fretta e la mattina seguente avrei scoperto cosa mi aveva portato Babbo Natale. Ero scesa in cucina per bere un bicchiere d’acqua. Mentre salivo le scale per tornare in camera mia avevo visto una figura aggirarsi per il salotto. Non avevo avuto paura, sapevo benissimo che non era un ladro ma Babbo Natale e mi ero accovacciata sul primo scalino. Mi ero nascosta per vederlo meglio ma la visuale non era delle migliori. Invece di uscire passando per il camino, si era diretto verso la porta e avevo visto che era la nonna. Avevo chiesto a Mattia e lui non era riuscito a fingere e mi aveva detto tutta la verità.
Ero cresciuta probabilmente troppo in fretta ma mi piaceva sentirmi una piccola donna.

‘Ho i miei piccoli segreti nonnina.’

‘Hahahaha, un giorno mi farai morire dal ridere piccola mia.’

Lo studio del dottor Tom non era molto grande. Aveva due pareti grigie e due arancio. I mobili erano moderni e il divano sul quale mi fece sedere era molto comodo. Un orologio scandiva il tempo che passava. La scrivania era abbastanza disordinata, c’erano fogli e penne sparsi dappertutto. Una grande libreria occupava quasi tutta la parete destra dell’entrata. Nella sala d’aspetto c’erano al massimo cinque sedie e qualche giornale vecchio di più di un mese. Non aveva una segretaria o altro personale.
La nonna mi aveva lasciato lì e mi aveva promesso di venirmi a riprendere di lì a un’ora.

‘Allora dimmi, come ti chiami bella bimba?’

Il dottor Tom doveva avere una cinquantina d’anni. Aveva i capelli brizzolati e dei grandi occhiali neri. Non indossava il camice ma un colorato pullover abbinato a dei jeans semplici. Una sciarpa bianca al collo gli dava un tocco di luce e portava l’attenzione sul viso. Il mento era coperto da un leggero strato di barba. Gli occhi azzurri erano contornati da qualche ruga che si accentuava quando sorrideva.

‘Mi chiamo Lola. Noi ci siamo già incontrati in ospedale la sera che il mio papà è morto e mio fratello è  entrato in coma.’

‘Hai ragione. Devi scusarmi ma sono passati tanti anni e ho visto talmente tanti bimbi che non posso ricordarli tutti.’

‘Immagino. Io invece ho una memoria abbastanza buona. Sono qui perché ieri sera ho visto il mio papà vicino a me ma nonna dice che non è possibile.’

‘Raccontami bene tutto..’

Io parlavo e il dottor Tom prendeva appunti su un blocchetto giallo dalla copertina un po’ logora. Non sapevo cosa ci scrivesse sopra e mi sarebbe tanto piaciuto saperlo. Non riuscivo a capire come uno psicologo potesse tradurre quello che io raccontavo in interpretazione dei miei comportamenti. Questo lavoro mi affascinava molto.
Da quel giorno andavo dallo psicologo una volta a settimana e mi piaceva. La maggior parte della gente odia andare dallo psicologo. Pensano che cosi dimostrano a tutti di essere realmente pazzi. Io non mi ero mai curata dell’opinione della gente. Le persone ti criticano qualsiasi cosa fai, giusta o sbagliata che sia. Sono tutti pronti a puntare il dito contro tutti ma mai a farsi un esame di coscienza. Perché nessuno può conoscere quello che è il passato di una persona, cosa l’ha spinta ad andare dallo psicologo, che poi non è un reato. È una persona come tanti, che per lavoro ascolta le persone e gli da consigli. Per la prima volta da quando Mattia se n’era andato potevo parlare con qualcuno che mi capiva e che mi stava a sentire. A scuola avevo molte amiche ma non passavo mai del tempo con loro al di fuori della mattinata. Era la persona con cui mi trovavo meglio dopo Cristian. Era simpatico e scherzoso. Mi diceva spesso che ero una bambina molto chiacchierona e sveglia per la mia età.
La nonna mi accompagnava dal dottor Tom tutti i giovedì alle tre e tornava a prendermi alle quattro. Lo consideravo il mio migliore amico, perché in fondo è questo che fanno i migliori amici: ti stanno a sentire e ti danno consigli.

Il domani non fa più pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora