Capitolo 14

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Lasciai Ciro e Emi al solito posto e feci per tornare a casa. per arrivare al locale non presi la strada principale e decisi di entrare dal retro. Non volevo creare strane idee nelle menti delle persone e inoltre era anche più vicina al posto dove avevo lasciato mia madre. Non appena aprii la porta tutti gli sguardi si voltarono verso di me. il barista mi guardò un po' torvo e mi fece segno di avvicinarmi al bancone.

'Documento d'identità prego.' Disse non appena mi avvicinai abbastanza da poterlo sentire.

'Non lo porto con me, ma se è l'età quella che vuole sapere, ho 15 anni, quasi 16.'

'Allora mi dispiace ma qui dentro ti sono vietati l'utilizzo di slot machines e la vendita di tabacco e alcool.'

'Lo so, ma non sono qui per questo. Devo solo riportare a casa mia madre che ora è seduta a quell'angolo del bancone.'

'Allora fai pure. Comunque tua madre ha qualche debito con questo bar, se potessi fare qualcosa per sanarlo o sarò costretto a trovare altri modi per avere quei soldi.'

Feci un cenno di assenso con la testa e mi avvicinai a mia madre. Sicuramente non si era neanche accorta di me mentre cercava di bere l'ultima goccia di birra che era rimasta sul bicchiere che le avevano servito.

'Andiamo mamma, sono Lola, torniamo a casa.'

Non sapevo quale era il comportamento che bisognava tenere con una persona ubriaca. Cosa gli andava detto e se apprezzava le mie attenzioni. Avevo paura che mia madre potesse arrabbiarsi o essere infastidita dalle mie attenzioni. Temevo che potesse picchiarmi ma non potevo lasciarla li a rendersi lo zimbello del locale e a rendere la sua vita più pietosa di quanto già non fosse. Lei sembrava non volermi ascoltare e mi ignorava. Le toccai delicatamente una spalla in modo da farla girare un minimo per far si che mi guardasse in faccia. Quando capii che non sembrava arrabbiata portai un suo braccio sulle mie spalle e la tirai verso di me. Si alzò mugolando e all'inizio oppose qualche resistenza ma durante tutto il resto del tragitto stette abbastanza tranquilla.

Quando arrivammo a casa la feci stendere sul letto e cadde subito distrutta. Accostai la porta della sua camera e andai nella mia per sdraiarmi sul letto.

Lo sguardo fisso sul soffitto, le mani incrociate sul petto e una lacrima che dall'occhio finiva sul cuscino come simbolo di tristezza. Non aveva più lacrime per piangere di una situazione che iniziava ad odiare. Quando qualcosa sembrava andare meglio subito diventava anche peggio di quello che era prima. Prima Cristian, che per un breve periodo sembrava promettere qualcosa di buono ma che subito dopo era sprofondato di nuovo nel silenzio più assoluto, poi Mattia che quando era riuscito a creare un equilibrio tra weekend a casa e fine settimana all'università si era dovuto trasferire all'estero, poi la zia che sembrava aver trovato la persona giusta, che aveva persino portato a casa dopo anni in cui non si erano viste che ora era di nuovo sola e alla ricerca dell'uomo perfetto, dopo ancora Marco che era arrivato come la persona che mi avrebbe ridato un po' di felicità che probabilmente mi meritavo e che alla fine si era rivelato un tossico e mi aveva abbandonato anche lui e alla fine la mamma, che sembrava essersi ripresa, che aveva riniziato a cucinare, a invitare tutti la domenica a pranzo, che aveva trovato un lavoro e che pensavo avesse trovato anche un nuovo fidanzato dato che rientrava tardi la sera e che invece avevo trovato in un bar lercia, ad elemosinare un goccio di birra dal barista e piena di debiti fino al collo. La mia vita non poteva andare peggio. Non ero mai stata una persona che si lamenta molto, che ama rendersi vittima agli occhi degli altri per essere compatita. Non avevo mai raccontato a nessuno il vuoto che provavo dentro ogni volta che andavo a trovare Cristian e lo trovavo come ogni settimana, senza segni di miglioramento. Nessuno sapeva delle volte che avevo pianto chiusa in camera mia perché il mondo sembrava avercela con me. Non mi ero mai sfogata con qualcuno raccontando tutto quello che sentivo perché pensavo fosse inutile. Le persone spesso, per indole o per goduria, tendono a raccontare cose di te che non sono vere. Inventano molti dettagli che non esistono per farsi grandi davanti agli altri, o per invidia e quindi per sminuirti e farti passare per la persona che non sei. Avrei tanto voluto una persona con la quale sfogarmi perchè il peso di quello che ora avevo dentro si stava facendo troppo grosso. Come quando hai un sacco e devi metterci dentro tanta roba, il sacco contiene tutto quello che può ma ad un certo momento inizia a strapparsi da tutte le parti. Quello mi stava succedendo. Avevo sempre portato il peso della tristezza di mia madre, della mia, della vita di mio padre finita troppo presto e di quella di Cristian che era a malapena sbocciata e non sapevo se sarei riuscita anche a contenere la notizia di mia madre. Mia madre non era guarita dalla depressione come tutti credevamo anzi, aveva imparato a farsi furba. Aveva imparato a fingere che tutto andasse bene per essere lasciata in pace e per continuare a sprofondare nell'abisso più di prima. In un certo senso la capivo. Probabilmente io ero ancora in piedi, nonostante i mille graffi, grazie al mio carattere. Avevo un carattere forte, sicuramente molto più forte del suo. Lei non ce l'aveva fatta a superare la morte di papà e non ce la stava facendo tutt'ora. Si stava lasciando andare e trasportare dallo tsunami che era la sua vita...

Il domani non fa più pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora