Capitolo 7

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Molti dicono ‘avere 15 anni e non sentirli’. E’ proprio vero, mi capitava la stessa cosa, l’unica differenza è che io me ne sentivo molti di più.
Da quando Mattia non tornava neanche più una volta ogni due weekend ero io che mi occupavo di tutto ciò che la mamma tralasciava. Mattia aveva vinto un master all’estero e aveva accettato. Aveva chiesto prima a me se me la sentissi di rimanere sola per parecchio tempo e io avevo detto che non c’era nessun problema. In fin dei conti non potevo obbligarlo a rimanere in una città che gli stava troppo stretta. Lui me l’aveva presentata come un’offerta da non perdere ma secondo me ciò che l’aveva spinto ad accettare era anche la voglia di andare ancora più lontano da casa. Il peso della situazione in cui vivevamo doveva farsi sentire anche a chilometri di distanza.
Le condizioni di Cristian non erano cambiate di una virgola. La voglia di svegliarsi non c’era mai stata ma nessuno perdeva la speranza, neanche i medici che solitamente sono molto scettici nel mandare avanti una persona che si trova in coma da dieci anni. Il suo corpo non dava segno di voler cedere anzi, era forte quasi come il primo giorno in cui era entrato in coma. Cristian era un guerriero, il mio guerriero.
Io continuavo ad andarlo a trovare e spesso mi fermavo da lui anche per un’ora o più, soprattutto nei momenti in cui la mamma era a lavoro. In quei periodi di tempo riuscivo a parlare con lui, a raccontargli tutto quello che mi era successo. Lo aggiornavo sulla scuola, su Mattia, sulla mamma e su quello che faceva la nonna. Spesso portavo con me nella borsa anche un giornale sportivo che gli leggevo, gli interessavano soprattutto sapere quello che aveva fatto in quella settimana la sua squadra di baseball preferita. Era un amante del baseball e prima dell’incidente ci giocava abitualmente ed era anche abbastanza bravo. Era sempre stato aggiornatissimo e non mancava di vedere una sola partita importante. Cancellava tutti gli impegni pur di non perdersela.
Mi destreggiavo bene tra lo studio, Cristian, i lavori domestici e gli amici. Ero riuscita a crearmi anche una vita sociale con mi stessa meraviglia. Tutto era cambiato quando avevo iniziato il liceo. Non c’era nessuno che conoscessi se non qualche viso che mi sembrava familiare ma solo di vista. Nessuno sapeva la mia storia e quindi non c’erano persone che si avvicinavano a me solo per compassione. Avevo creato legami di amicizia veri e duraturi, soprattutto con due ragazzi che erano finiti per diventare i miei migliori amici, le persone che per nulla al mondo avrei lasciato o tradito. Di loro mi fidavo e con loro mi trovavo bene. Ridevo, scherzavo e dimenticavo tutto. Loro erano gli unici ai quali avevo raccontato quello che mi era successo e non mi avevano compatito. Erano rimasti in silenzio ad ascoltare tutto il mio racconto e poi mi avevano detto se volessimo uscire a mangiare la pizza. Il loro comportamento non era cambiato e questa era una cosa che mi piaceva molto di loro. Si chiamavano Emi e Ciro. Andavamo in classe insieme e ne avevamo passate tante noi tre.
Un giorno ad esempio, Emi e Ciro avevano voluto provare a fumare. Non erano persone alcolizzate o fissate col fumo, non erano persone fuori dagli schemi, anzi, rispettavano tutte le regole che avevano e non cercavano mai di infrangerle ma quel giorno volevano provare. Mi avevano chiesto di andare con loro e avevo accettato. Ero contraria a fumo e alcool nonostante nessuno me l’avesse mai vietato. Stavamo tutti e tre a casa di Emi, nello scantinato. Sua madre non c’era e nemmeno suo padre. Aveva preso una sigaretta dal pacchetto di suo padre e voleva dividerla tra tutti e tre. Lei aveva fatto il primo tiro e l’aveva passata a Ciro. Mentre Ciro appoggiava le labbra al filtro della sigaretta, l’allarme anti-incendio era scattato. Subito avevamo spento la sigaretta e cercato di aprire l’unica finestrella che c’era per far uscire il fumo. Emi abitava in una zona abbastanza ricca della città e ogni allarme che ci fosse li dentro era collegato ai vigili del fuoco o alla polizia, perciò avevamo poco tempo per far uscire l’odore di sigaretta, richiudere la finestra e andare via in modo da far sembrare il tutto un guasto all’impianto. Inoltre l’allarme era collegato con il cellulare dei suoi genitori che sarebbero stati li in dieci minuti al massimo. Nonostante la paura e l’ansia che avevamo eravamo riusciti a far filare liscio il nostro piano e a dileguarci. I genitori di Emi erano persone abbastanza severe riguardo fumo e alcolici e non sarebbero stati molto contenti di trovare loro figlia a fumare in casa. Erano persone abbastanza presenti nella vita della loro unica ‘bambina’. Non erano riusciti ad avere altri figli e quindi volevano che Emi crescesse al meglio.
Emi era una ragazza bellissima dagli occhi color nocciola, di quelli che ti ci perdi dentro solo a guardarli e poi ti resta difficile ritrovare la strada giusta.  Aveva capelli biondi e liscissimi tanto che sembrava sempre appena uscita dal parrucchiere. Moltissimi ragazzi le pendevano letteralmente dalle labbra ma a lei piaceva solo illuderli e farli soffrire. Aveva una voglia di far soffrire il genere maschile al dir poco unica. Non conoscevo il preciso motivo di questa avversione ma ero affascinata dalla sua capacità di intraprendere relazioni senza mai metterci troppo cuore. Con la stessa facilità con cui ci si era immersa ne emergeva e tutto questo senza scomporsi troppo. Da quando la conoscevo non aveva mai pianto per un ragazzo e non era mai stata giorni in casa a deprimersi se qualcuno la lasciava o non la guardava e non le dava attenzioni.
Per quanto mi riguardava l’amore non era affar mio. Ero già abbastanza incasinata senza che nessun ragazzo si affacciasse sulla porta della mia vita. Che nessuno si fosse mai interessato realmente a me poi era un altro paio di maniche. Non ero alla ricerca del principe azzurro come la maggior parte degli adolescenti. Credevo nell’amore e nella forze che lui aveva sulle persone. Non avevo dubbi sul fatto che riuscisse a renderti dipendente da una persona che tu fossi d’accordo o meno perciò sapevo che quando sarebbe arrivato il mio momento non avrei potuto tirarmi indietro e sarei stata trasportata nel vortice dell’amore anche io. Avevo avuto senza dubbio la prova dell’amore vero e puro. Mamma aveva amato e continuava ad amare mio padre nonostante fossero ormai dieci anni che se ne era andato. Non aveva più frequentato nessuno e ogni giorno tornava da mio padre e passava del tempo davanti alla sua tomba al cimitero. Questo amore però l’aveva portata alla pazzia, era diventata un’automa e non aveva più il controllo razione della sua vita. Passava le giornate compiendo azioni banali alle quali non dava neanche più un peso e io non volevo ridurmi come lei. Sapevo che l’amore era una cosa bella quando dolorosa e non volevo soffrire ancora. Non volevo che la mia felicità dipendesse dalla presenza di una persona perché niente è per sempre e la mia felicità doveva dipendere solo da me, l’unica persona in grado di amarmi veramente e che mi conosceva meglio di chiunque altro. L’amore era fuori dalla mia vita e li sarebbe rimasto almeno per un altro po’ di tempo. Non potevo fare come Emi. Non sarei stata capace di intraprendere qualcosa senza metterci il cuore, io che mi dispiacevo anche se vedevo gli occhioni neri di un gamberetto nel mio piatto.
Ciro era il classico ragazzo carino ma che nessuno nota. Quello che è amico di tutti ma niente di più per nessuna. Era il mio migliore amico e sapeva più cose lui che Emi. era un tipo un po’ particolare che a prima vista poteva sembrare un po’ gay ma in realtà era attratto dal genere femminile e anche abbastanza. Aveva il viso pulito, senza neanche un filo di barba. Era solare e spiritoso e nonostante spesso ci trovavamo in conflitto, gli volevo bene. Era fissato con la matematica e la fisica e andava matto per la tecnologia e l’informatica. Nonostante non l’avesse mai studiato a scuola era informato quasi quanto uno studente universitario sui computer. Considerava il funzionamento dei computer qualcosa di spettacolare. Era affascinato da come le leggi matematiche funzionassero nonostante tutto. L’uomo poteva provarci in tutti i modi ma quelle leggi non cambiavano se non in casi particolari. Era ciò che più si avvicinava alla perfezione. Era concentrato soprattutto sullo studio dell’infinito. Diceva che aveva nascondeva qualcosa di misterioso e affascinante allo stesso tempo. Naturalmente come quasi la maggioranza dei geni non era apprezzato e a scuola se la cavava con voti sufficienti o poco superiori. Diceva sempre che non gli interessava, che era inutile cercare di provare la sua intelligenza a persone che avrebbero solo potuto ostacolarlo maggiormente perché invidiosi di tutto. ‘La vendetta è un piatto che va servito freddo’ diceva sempre intendendo che avrebbero avuto modo di ricredersi se si sarebbero ricordati di lui quando sarebbe andato in televisione per qualche grande scoperta. Non era una persona montata, aveva solo fiducia in se stesso e credeva nelle proprie capacità.

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