In quell’anno scoprii come una bella esperienza può trasformarsi in qualcosa che ti può uccidere e che un dolore riporta vivi tutti i brutti momenti della tua vita. Erano ormai due mesi che Marco era in quel centro di recupero che si trova alla fine della strada principale che collega il nostro paese alla provincia. Non avevo più incontrato sua madre ma anche se l’avessi incontrata non penso avrei avuto il coraggio di salutarla. Molto spesso mi ritrovavo a fissare il soffitto della mia camera mentre ero stesa sul letto o sul pavimento quando faceva più caldo. Non avevamo aria condizionata in casa perciò l’unico modo che avevo per raffreddarmi quando era molto caldo era sdraiarmi sul pavimento della mia camera. Sul soffitto c’erano ancora appese le stelline che si illuminavano al buio che mio padre aveva messo quando avevo quattro anni ed ero andata a dormire da sola, per non farmi avere paura del buio. Passavo le ore a fissarle e a pensare. Pensavo a tutto il tempo che avevo passato con Marco e a quanto fossi stata stupida ad infrangere la promessa che mi ero fatta tempo prima. Nonostante avessi promesso a me stessa di non innamorarmi, ci ero cascata, come una pera cotta. Ora lui non c’era più e io soffrivo. E il dolore per la perdita del mio primo amore mi portava a pensare a tutto quello che aveva potuto passare la mamma , che sicuramente doveva essere dieci volte il mio. Allora riprendevo a pensare a papà. Chissà come doveva stare li sotto? Chissà se esisteva veramente un paradiso, un purgatorio e un inferno. Ormai la gente è troppo portata a credere che tutto ciò che dice la maggior parte degli esseri viventi sia vero, ma alla fine chi lo poteva dire che esisteva con esattezza un’aldilà? Sicuramente mio padre ora lo sapeva, erano quasi undici anni che ci viveva. A scuola la nostra professoressa di scienze ci aveva spiegato come i corpi, una volta che non hanno più vita, si decompongono e vanno a far parte del terreno. Da qui si uniscono con altre particelle a formare fiori e piante. Poi magari un’ape prende proprio quella parte di particella e forma il miele. L’uomo mangia il miele e cosi una parte di noi è tornata a far parte di un altro corpo umano. Naturalmente la maggior parte della catena della particella era frutto della mia immaginazione, ma chi ha detto che non possa essere così? Questa conclusione mi piaceva molto di più del paradiso e dell’inferno. Mi affascinava e terrorizzava allo stesso tempo perché se quello che avevo immaginato era vero voleva dire che nel mio corpo c’erano milioni di particelle di altre persone morte. Chissà che non ci fosse qualche cellula proveniente dal corpo di Einsten o Newton, Hitler o George III. Chissà in che condizioni era ridotto ora il corpo di mio padre. Solo pensarci mi faceva venire la pelle d’oca. Il papà che avevo conosciuto, con quel corpo, quegli occhi che mi guardavano così dolci e quel sorriso speciale che rivolgeva solo alla mamma, ora non esisteva più. Pensare a tutto questo mi faceva star male e di tanto in tanto una lacrima scendeva dolce lungo la mia guancia e attraversava tutto il viso per poi arrivare fino al cuscino.
La situazione di Cristian non cambiava. Ultimamente anche la mamma aveva rinunciato ad andarlo a trovare spesso. Io andavo ogni volta che ne avevo la possibilità, magari anche prima di uscire con Emi e Ciro. Se potevo un giro in ospedale me lo facevo sempre. Avevo come la sensazione che lui percepisse che c’era qualche familiare intorno a lui. Qualcuno che gli voleva bene e che veniva a trovarlo perché pensava sempre a lui. Era cambiato tantissimo da quando era andato in coma. Nonostante una persona in coma non dia segni di vita come parlare, aprire e chiudere gli occhi e sorridere, invecchia. Cristian si era addormentato che era solo un bambino di dieci anni e ora ne aveva venti. Si era alzato, doveva essere alto quasi quanto me ora. Non era cresciuto poi molto perché a dieci anni era già molto alto, nella sua classe in altezza batteva tutti. Non a caso era un campione nel basket. La barba era iniziata a spuntargli a circa sedici anni ma cresceva poco e ci metteva molto tempo per cui bastava che il barbiere gliela tagliasse una volta al mese per farlo risultare sempre pulito e perfetto. I dettagli che ricordavo di lui con il passare del tempo andavano diminuendo. In fondo ero solo una bambina di quattro anni quando lui aveva deciso di mettersi a dormire per undici anni e non ho una memoria molto limpida di quei periodi. Il suo sorriso ad esempio posso ricordarlo solo attraverso le foto, cosi come i suoi occhi che erano di un marrone nocciola perfetto con dei filamenti color paglia che li rendevano qualcosa di particolarissimo. Non ricordavo la sensazione di quando mi prendeva la mano per farmi attraversare la strada e tutti i giochi che facevamo insieme non potevo che riportarli alla memoria attraverso le foto. Per me stava diventando un estraneo. Non gli avevo mai parlato dei miei problemi, non gli avevo mai chiesto un consiglio quando mi serviva. O meglio gliel’avevo chiesto ma lui non mi aveva risposto. Chissà se mi capiva. Se poteva ascoltarmi e ricordare quello che gli dicevo era di sicuro la persona che mi conosceva meglio di tutti.
Il pensiero che avesse dovuto passare gli anni della sua adolescenza in coma mi rendeva triste. Non aveva potuto avere degli amici con cui uscire il sabato sera. Non aveva avuto la possibilità di fare stupidaggini insieme ai suoi compagni. Non si era mai ubriacato e non aveva mai potuto provare una sigaretta. Non aveva mai apprezzato una ragazza per la sua bellezza e non aveva provato il brivido di ricevere un bidone dopo un tentativo di rimorchio. Insomma, aveva saltato parecchie tappe importanti della sua vita. Non sapevo se avrei preferito che si svegliasse oppure no. Sono consapevole che è un brutto augurio quello che tuo fratello non si risvegli più, ma io pensavo a cosa gli sarebbe mancato se si fosse svegliato ora. Di sicuro non sarebbe potuto andare all’università e non avendo neanche il diploma di terza media, trovare un lavoro sarebbe stato pressochè impossibile. Inoltre non avrebbe saputo comportarsi come una persona di vent’anni. Avrebbe trovato difficoltà in tutto e non sapevo se era pronto a ripartire da zero dopo tutto questo tempo. D’altronde però sapevo che se fosse morto, la mamma se ne sarebbe andata con lui e io e Mattia saremmo rimasti nuovamente soli. Era una situazione veramente difficile da sopportare per qualsiasi essere umano.La mamma, ora che non trascorreva più pomeriggi interi con Cristian aveva riniziato a prendersi cura della casa. Non che ora sembrasse una persona normale che vive in una casa normale, ma per lo meno aveva rinunciato a vivere in una camera d’ospedale. Non passava molto tempo con me ma io non lo pretendevo. Oramai avevo creato un mio equilibrio solitario e una mia routine quotidiana che non volevo modificare a meno che non mi fosse stato richiesto esplicitamente. Aveva ripreso a pulire la casa e a cucinare a cena. Il suo orario di lavoro era stato prolungato dato che non aveva più l’impegno dell’ospedale tutti i giorni della settimana. Molto spesso la nonna si univa a noi per le cene o le domeniche a pranzo e la mamma sembrava più felice.
‘Ti va se invitiamo anche la zia a pranzo oggi?’ mi aveva chiesto una domenica mattina.
‘Sarebbe bellissimo.’ Avevo risposto mentre rimettevo in ordine la mia camera.
A mezzogiorno e mezzo la zia si era presentata a casa col suo nuovo fidanzato di turno. La nonna li fissava e ogni tanto scuoteva la testa. Non approvava il comportamento di sua figlia maggiore. Era un tipo all’antica lei, voleva che si sposasse e mettesse finalmente su famiglia ma mia zia non dava segno di volersi sistemare. Il suo nuovo fidanzato si chiamava Jacopo e aveva parecchi piercing sulla faccia. A primo impatto non sembrava una persona simpatica ma dopo solo un quarto d’ora si era dimostrato la persona più simpatica e alla mano che era mai stata con la zia. Non la vedevo da quasi tre anni.
Tre anni e mezzo fa mia zia aveva trovato un uomo che le piaceva realmente e aveva anche fatto un pensierino al matrimonio ma lui non sembrava convinto. Dopo essere rimasta incinta il loro rapporto aveva tentennato ma si erano retti in piedi e avevano deciso di portare avanti la gravidanza insieme. Lui non l’aveva abbandonata fino a quando la zia non aveva avuto un aborto spontaneo. Quello era stato il punto di rottura del loro rapporto già traballante. Per lei era stato un duro colpo perdere il bambino e il suo compagno in pochissimo tempo. Inoltre la nonna non facilitava le cose con il suo comportamento. La criticava in continuazione, le diceva che non aveva dato abbastanza importanza al bambino, non gli aveva dato le attenzioni sufficienti e non aveva saputo tenersi un bambino. Il dolore era diventato insopportabile per lei che aveva deciso di trasferirsi a più di due ore in macchina da casa nostra per poter ricominciare lontano da lì. Da quel momento non ci eravamo più viste fino a oggi, per cui eravamo euforiche tutte e due. La mamma le voleva bene ma io avevo legato molto con lei nel periodo prima della morte di papà. Stava spesso a casa con noi quando la mamma e il papà uscivano per andare a cena fuori e ci faceva da baby sitter. Era la zia più simpatica del mondo e aveva anche parecchia fantasia. Secondo me sarebbe stata una mamma fantastica.La mamma aveva cucinato per tutta la mattina. Era stata tantissimo ai fornelli. Prima dell’incidente era una cuoca fantastica e ogni domenica la famiglia si riuniva a casa nostra. Dopo la morte di papà però non aveva più dedicato molto tempo alla cucina e quando preparava la cena o il pranzo lo faceva in modo veloce e senza passione. Oggi invece aveva cucinato una buonissima lasagna, del pollo arrosto con patate e un dolce alle more che era la fine del mondo. Tutti le avevano fatto i complimenti e lei aveva molto apprezzato. Finalmente la mamma a pranzo sorrideva e io non riuscivo a credere ai miei occhi. Parlava con la nonna, con la zia e persino con Jacopo come parlava con tutti prima dell’incidente. Sembrava veramente felice. Quando se ne andarono, gli chiese di tornare la domenica successiva per pranzo e la zia fu talmente felice di vedere quel miglioramento che non smise di sorridere per tutto il tragitto dalla porta alla sua auto.
Per il resto della settimana però non vedevo molto spesso la mamma. Stava al lavoro fino verso le quattro del pomeriggio e usciva di casa la mattina prima che io andassi a scuola. Passavamo solo la cena insieme. Verso le nove solitamente usciva e non sapevo a che ora rientrava. Ogni tanto l’avevo sentita tornare mentre io ero già a letto ma non le avevo mai chiesto dove fosse stata il giorno dopo, sapevo che non mi spettava saperlo ma io speravo nel meglio. Nonostante sarebbe stato un po’ strano per me speravo per la mamma che tornasse così tardi ogni tanto perché avesse un fidanzato. Speravo che quel buonumore fosse dovuto a qualcuno che era riuscito a farle riscoprire la voglia di vivere e che qualche domenica a pranzo avesse portato anche lui per presentarcelo. Immaginavo già la faccia della nonna quando la mamma lo avrebbe portato a casa. sicuramente sarebbe rimasta sconvolta e sarebbe stata contraria. Non ammetteva che si risposasse o si fidanzasse con qualcun altro. La interpretava come una sorta di tradimento. Per me invece era la cosa più bella che potesse capitare. La mamma sarebbe di nuovo stata felice e avrebbe sofferto meno.
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Il domani non fa più paura
RomanceLola non ha mai avuto una vita facile. Fin da bambina ha sempre affrontato la realtà e probabilmente ciò l'ha portata a crescere troppo in fretta. Niente in lei è mai andato come voleva ma la vita si sa, è sempre imprevedibile e molto spesso le cose...