Capitolo 12

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‘Mi dispiace tanto.’

‘Emi non era destino.’

‘Ma sembravate cosi affiatati e lui sembrava una così brava persona.’

‘Lo so… non è che non sia una brava persona, ha solo preso una strada sbagliata.’

‘Lola, dimmi la verità: tu ne eri innamorata?’

‘….’

‘Noo…’

‘Non è una tragedia essere innamorati di una persona..’

‘Premettendo che non lo sono mai stata e che ho avuto esempi di persone innamorate al mio fianco preferisco non innamorarmi. Ho visto persone piangere, essere disperate perché il loro fidanzato non rispondeva ai messaggi o andava in giro con un’altra ragazza. Io non sarei capace mentalmente di attraversare una cosa del genere. Per me innamorarmi sarebbe veramente una tragedia.’

‘Vedi Emi, quando sei innamorata quelle cose le fai volentieri. Piangi per lui perché è meglio piangere per lui che per la sua assenza. Ti preoccupi se non arriva un messaggio perché hai paura che sia successo qualcosa o che lui non ti ami e questo ti rende triste. Ti ingelosisci se sai che è in giro con qualcun’altra perché hai paura che lei ti possa sostituire e quindi lo perderai. Tutto questo però non è un peso. Io con Marco ho scoperto un mondo nuovo. Essere innamorati è qualcosa che ti riempie e so che è difficile da credere ma oltre a farti stare male ti porta sopra il cielo. Ti fa sorridere senza un perché al solo pensiero. Ti innamori di tante piccole cose e di tanti particolari che prima ti sembravano fastidiosi o esagerati.’ Mentre ne parlavo sorridevo e Emi mi guardava con gli occhi sbarrati.

‘Tu sei proprio cotta, amica mia.’

‘No, lo ero. Ora non più. So che non possiamo stare insieme e non fa niente. All’inizio non volevo accettarlo ma ora so che è così che doveva andare. Ho letto un libro che parla del destino. E’ tutto scritto e sicuramente nel mio libro del destino non è Marco la persona che deve starmi accanto tutta la vita.’

‘Tu mi stai seriamente spaventando. Propongo di correre da Ciro per farti analizzare.’

Detto questo Emi aveva messo la freccia e era ripartita verso la casa di Ciro. Emi aveva il patentino e guidava una di quelle macchinine piccole e rumorose che mia nonna odiava. Avevamo accostato quando alla radio avevano trasmesso una canzone stupenda che io ascoltavo sempre con Marco e le avevo chiesto se potevo alzare il volume. Lei aveva annuito e io le avevo spiegato il perché. A quel punto avevo dovuto raccontarle il vero motivo per cui io e Marco ci eravamo lasciati. Eravamo state ferme sul ciglio della strada per più di un quarto d’ora a parlare. Ora eravamo destinate verso casa di Ciro per fargli una sorpresa.
Il nostro migliore amico era diventato una sorta di recluso in casa. I nostri professori ci avevano parlato un pochino dell’università perché facendo il terzo dovevamo iniziare ad orientarci verso una scelta e una possibile facoltà e dal prossimo anno iniziare a studiare per i test. Quel discorso era bastato per mandare in tilt il cervello di Ciro. Pensava che non sarebbe mai stato pronto in due anni a sostenere un test universitario. Voleva diventare uno psicologo e di psicologia noi non sapevamo praticamente nulla. Non l’avevamo mai studiata a scuola e lui non era mai stato in uno studio di uno psicologo. In effetti non so bene come fosse nata in lui una passione cosi grande ma ero contenta che sapesse così bene quale sarebbe stato il suo futuro. Questo futuro però lo aveva portato a non uscire più il pomeriggio, avevamo modo di parlare con lui solo a scuola dato che durante il pomeriggio spegneva il cellulare per concentrarsi meglio prima sullo studio scolastico e poi sulla psicologia. Gli unici momenti in cui rispondeva al telefono erano la sera prima di andare a letto e nell’ora di pranzo mentre aspettava l’autobus per tornare a casa. io ed Emi eravamo veramente preoccupate per lui e volevamo fare qualcosa per toglierlo da questo stato di paura. Quando a scuola nominavamo i programmi per il pomeriggio nei suoi occhi appariva una sorta di terrore e poi rispondeva che doveva studiare o aveva da fare con la mamma.
Quella sera sapevamo che in casa sua non c’era nessuno oltre a lui. Avevamo chiesto ai suoi genitori il permesso di passare il sabato da loro per fare un po’ di compagnia a Ciro e loro, preoccupati quanto noi del comportamento del figlio, avevano acconsentito molto volentieri. Avevamo dovuto suonare il citofono due o tre volte prima che qualcuno venisse ad aprirci. Le condizioni di Ciro erano più disastrose di quanto pensassimo. Non lo vedevamo dalla mattina prima dato che non andavamo a scuola il sabato. Non si era fatto la barba quella mattina e indossava una tuta grigia larghissima e una maglia con qualche macchia qua e là. I capelli non erano stati pettinati e aveva delle grandi occhiaie. Appena ci aveva viste ci aveva tenute sulla porta e voleva liquidarci ì.

‘Non esco con voi, ho da fare. Non posso oggi, sarà per un’altra volta.’

‘Ma noi non vogliamo uscire.’ Aveva risposto Emi ‘siamo venute semplicemente per farti compagnia. Dato che non vieni fuori con noi, noi veniamo dentro con te.’

Non riuscii subito a decifrare l’espressione di Ciro. Era un misto tra felicità e preoccupazione. Il programma per la serata prevedeva una pizza, comprata precedentemente da noi due e un film noleggiato. Era un film del terrore, proprio come piacevano a lui.

‘Ciro, noi ti vogliamo bene e siamo contente che tu stia studiando per il tuo futuro, ma devi darti un equilibrio. Non puoi passare il sabato sera recluso in casa a studiare. Ancora è presto e poi oramai avrai imparato più tu sulla psicologia che il più grande medico psichiatra del mondo.’ Emi aveva deciso di mettere fine alla pazzia di Ciro, ma non l’aveva fatto nel migliore dei modi. Non gliel’aveva consigliato, gliel’aveva praticamente imposto.

Ciro alla fine ci aveva dato ragione. Lui non voleva passare tutta la sua adolescenza a studiare ma il pensiero di fallire lo terrorizzava. Lui che non aveva mai fallito. Lui che non aveva mai preso un’insufficienza a scuola. Lui che non aveva mai dovuto riprovare una cosa due volte. Era considerato una persona intelligentissima e il pensiero di non passare l’ammissione all’università lo mandava ai pazzi. Era convinto che in questo modo avrebbe deluso sua madre, suo padre, tutta la sua famiglia. Ne avrebbe risentito la sua autostima in primis. Si sarebbe sentito sconfitto, un fallito. Era una visione un po’ drastica della situazione ma questo era quello che sentiva quando pensava al fatto di non essere ammesso all’università. Dopo un lungo dialogo aveva deciso di abbassare un po’ il ritmo. Avrebbe studiato fin da ora ma con meno frequenza, in modo da arrivare al test preparato. Non avrebbe trascurato la sua vita da adolescente e cosa più importante non avrebbe più trascurato noi. Quella sera ci ringraziò mille volte per essere andate a casa sua e averlo aiutato. Dopo cena non volle vedere il film ma volle uscire. Uscimmo e andammo in giro per la città, entrando di tanto in tanto in qualche bar, giusto per vedere che gente c’era in giro. Sul viso del nostro amico c’era un sorriso che toccava tutte e due le orecchie e noi ci sentivamo fiere di noi stesse per aver aiutato un amico che ne aveva bisogno. Eravamo contente della nostra buona azione.

Il domani non fa più pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora