Capitolo 17

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La pioggia batteva contro la finestra della mia camera. Avevo passato intere giornate distesa sul mio letto con lo sguardo fisso tra quei vetri, a cercare qualcosa che non c'era e ad aspettare qualcuno che comparisse all'orizzonte per rimettere in ordine la mia vita. Naturalmente in quasi 16 anni non era mai arrivato nessuno. In giornate piovose come quella mi piaceva seguire con lo sguardo il percorso di ogni goccia di pioggia. Vedere se riusciva a realizzare il suo obiettivo e se finalmente si univa alle altre gocce per formare qualcosa di più grande. Insieme si sa, tutto è più semplice, siamo tutti un po' meno fragili se siamo in due, ci sentiamo più forti. Io non ce l'avevo quella persona con la quale mi sentivo invincibile, o meglio, ce l'avevo ma non vicino fisicamente. Cristian era sempre con me nonostante ormai avessi perso qualsiasi speranza. La mia vita era andata in frantumi quel venerdì piovoso e non volevo accettarlo. Avevo sempre cercato di essere positiva, mi ero sempre detta che le cose sarebbero andate meglio. Davo forza a tutti nonostante io stessi per crollare. Le cose però non erano andate meglio e molto probabilmente mai sarebbe successo. Oramai lo sapevo e nonostante l'angoscia e la tristezza che mi portavo dietro da quando avevo scoperto di mia madre, l'avevo accettato. Sapevo che quella era una situazione ormai irrecuperabile e io volevo uscirne il prima possibile, ma non avevo la forza di abbandonare la nonna, Cristian e per quanto possa sembrare strano nemmeno la mamma.

Quel pomeriggio non c'era nessuno in casa. Solo io e i miei pensieri. Il suono del telefono interruppe quella bolla nella quale mi ero immersa. Non mi precipitai a rispondere, sapevo che era la nonna. Solitamente quando non vedeva la macchina della mamma parcheggiata nel viale, nel pomeriggio mi chiamava e mi chiedeva di andarle a fare compagnia se avevo finito i compiti. Aveva imparato ad usare il nuovo forno e molto spesso mi faceva anche trovare delle buonissime merende preparate apposta per me.

'Pronto?' dissi alzando la cornetta.

'Pronto buonasera, sono il dottor Finnegard, parlo con la signora di casa, la madre di Cristian?'

'Veramente sono la figlia, la mamma ora non c'è ma tornerà presto, se vuole può lasciare detto a me il motivo della chiamata e riferirò non appena torna.'

'No, grazie mille lo stesso. Manderò personalmente un fax a sua madre per spiegarle il tutto. Arrivederci.'

Il dottore era stato molto evasivo a telefono. Cosa doveva spiegare alla mamma che io non potevo sapere? Perché tutti quei misteri? Improvvisamente in me si era risvegliata la speranza. E se Cristian avesse fatto qualche miglioramento che il dottore voleva comunicare alla mamma per intraprendere una terapia? Se di li a poco Cristian si fosse risvegliato? Non riuscivo a smettere di sorridere. Mi precipitai in ufficio e accesi il fax. Mi sedetti sulla poltrona dove un tempo sedeva papà e aspettai che arrivasse il fax dell'ospedale. Non appena lo lessi ogni mia gioia e speranza evaporò, come quando si lascia cadere una goccia d'acqua sul ferro bollente e quella svanisce immediatamente. Il fax diceva che, nonostante i dottori inizialmente riponevano molte speranze in Cristian, questo non aveva fatto miglioramenti da quando era entrato in coma. Erano ormai più di dieci anni che le situazioni di mio fratello non miglioravano e non cambiavano di una virgola perciò, in seguito a diverse visite che i dottori avevano ritenuto opportuno fare, avevano confermato le loro ipotesi. Cristian non si sarebbe risvegliato, aveva una probabilità dello 0,87% di uscire dal coma. All'ospedale servivano posti liberi per poter accogliere nuovi pazienti, con più alte probabilità di risveglio. Nonostante Cristian era ormai entrato nei cuori di tutti i dottori e infermieri che l'avevano visto crescere era venuto il momento di guardare in faccia la realtà. Cristian non si sarebbe svegliato e questo andava accettato. Il dottore chiedeva cortesemente a mia madre di firmare le carte per staccare i macchinari che tenevano in vita mio fratello.

Avevo già valutato l'ipotesi che Cristian non avrebbe più mangiato con noi, non mi avrebbe più sorriso o aiutato nei momenti di difficoltà ma era tutta un'altra cosa ora. La realtà era quella e andava accettata. In fondo non aveva senso tenerlo ancora lì, senza un perché e senza più la speranza di un risveglio. Quel posto sarebbe stato molto utile ad altre persone e avrebbe potuto far gioire molte altre persone. Non appena la mamma tornò le diedi il fax e disse che il giorno dopo sarebbe andata a firmare i documenti. Quella sarebbe stata la fine definitiva. La mamma stava perdendo anche suo figlio e non si sarebbe rialzata questa volta. La nonna piangeva a dirotto non appena salii a dirglielo. Alla fine lo aveva sempre sospettato anche lei, ma a differenza mia, lei era più ottimista, guardava sempre la parte positiva in ogni situazione e quindi non si era mai immaginata a dover affrontare quel momento. Decisi di chiamare Mattia. Erano due anni che non tornava a casa. Aveva oramai finito gli studi da qualche anno, ma era rimasto all'estero. Li ormai aveva un lavoro stabile e conviveva con la sua compagna. Aveva una vita felice e sapeva che qui non c'era nessun motivo per tornare. Ogni tanto ero andata a trovarlo e mi aveva fatto fare un giro nella sua città e conoscere i suoi amici e la sua fidanzata. Ero stata contenta per lui e non gli avevo mai chiesto di tornare per me. Lo chiamai e gli dissi quello che sarebbe successo l'indomani. Dal telefono si sentiva che singhiozzava. Disse che non aveva la possibilità di tornare con cosi poco preavviso. I funerali ci sarebbero stati l'indomani pomeriggio. Fu allora che feci il gesto più coraggioso e istintivo che avessi mai fatto. Gli chiesi se per caso potevo andare a stare da lui. Non avrei sconvolto la sua vita, mi serviva solo un posto tranquillo dove vivere per un po', finchè non ne avessi trovato un altro. Gli raccontai della mamma, del fatto che stare con lei era già impossibile ora, figuriamoci dopo il funerale. Gli confessai che avevo anche un po' di paura, perché di solito gli ubriachi diventano violenti e io non mi sentivo sicura a stare in casa sola con lei. Gli confessai che la nonna oramai era diventata molto vecchia, e questa notizia l'aveva invecchiata ancora di più. Nonostante il bene che le volevo non sarebbe vissuta ancora per molti anni. Io non avevo un posto dove stare. Un luogo dove vivere in tranquillità la mia adolescenza. Lasciare i miei amici mi avrebbe fatto molto male e avrebbe fatto male anche a loro, ma era una cosa che andava fatta. Sapevo che restando li non sarei andata molto lontano dal futuro che attendeva mia madre e non volevo questo per me. Mattia mi disse che potevo stare da lui tutto il tempo che volevo. Lo comunicai a mia madre che non si sconvolse più di tanto. Mi disse che potevo andare dove volevo, che tanto lei non voleva più nessuno. Sarei stata solo una sofferenza in più. Quando lo dissi alla nonna, scoppiò di nuovo a piangere. Mi disse che se aveva bisogno di sostegno sarebbe stata lei vicino a me. Le dissi che non era quello il problema e le spiegai il perché me ne volevo andare. Le raccontai di quella sera al bar e del successivo discorso tra me e la mamma e lei disse che allora quella era la soluzione migliore. Quella sera presi tutti i miei vestiti e le cose più importanti e le misi nelle mie valigie. Sarei partita subito dopo il funerale. Dopo cena andai a fare l'ultima passeggiata in centro con Emi e Ciro e gli dissi quello che era successo. Loro mi abbracciarono e mi fecero passare una bellissima ultima serata insieme. Veramente indimenticabile. Sarebbero stati una delle cose che mi sarebbe mancata di più.

Il domani non fa più pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora