Capitolo 2.

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Mi sveglio con il suo viso impresso nella mente.

Era andato via solo ieri?

Scruto la spiaggia inutilmente, sperando che da un momento all'altro spunti fuori da dietro un albero sorridendo.

Ma non succede.

Sono ancora distesa sulla sabbia.

Mi alzo e mi spazzolo i jeans e la maglietta bianca.

Ero solita a indossare abiti, ma dopo la comparsa del figlio di Efesto non mi sono più staccata da questi vestiti.

Alzo gli occhi verso l'alto. Il sole brilla e c'è una leggera brezza salata che alleggia nell'aria.

- Devi lavorare Calipso -  mi dico.

- Con o senza Leo, devi andare avanti, se lui tornerà bene sennò... - mi blocco.

Ordino alle mie lacrime di restare dove sono.

Non devo piangere.

Non devo tormentarmi.

Faccio capolino nella stanza degli attrezzi e prendo i guanti, le cesoie, la paletta e l'innafiatoio.

Mi chino sulla verdura

Ho un orto molto grande e amo prendermene cura.

Noto che alcune verdure hanno un aspetto malconcio.

Infilo le mani sotto terra per esaminare le radici.

Sono secche e raggrinzite come le braccia di una vecchietta.

Tiro le mani fuori di scatto.

Quello era territorio di Gea.

Meglio evitare.

Passo al frutteto. Mele, pere, albicocche, pesche e viti risplendono sotto i raggi del sole.

Raccolgo una mela rossa per fare colazione.

Me la rigiro nelle mani studiandone la superficie liscia e rossa.

Le do un morso e continuo a lavorare.

Taglia, pianta, innaffia.

Faccio tutto meccanicamente per circa una mezz'ora sistemando anche i fiori.

Faccio qualche passo indietro e osservo il mio lavoro.

L'orto è stato sistemato, gli alberi da frutto sono stati potati.

Scendo i gradini di pietra fino ad arrivare sulla sabbia bianca.

Mi slaccio i sandali di cuoio e cammino a piedi scalzi.

L'oceano si estende a perdita d'occhio.

Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo, provo a liberare la mente dai problemi, dai dubbi, dalla tristezza.

C'è un leggero aroma di sale, bacche e rosmarino.

Mi rilasso un pò.

Cammino un po verso l'acqua, finché il mio piede non s'imbatte contro qualcosa di metallo.

CLANG.

Mi chino.

Un cacciavite dall'impugnatura nera e arancione era mezzo sotterrato nella sabbia

Doveva essere caduto dalla cintura magica di Leo.

Lo raccolgo e marcio verso la capanna che aveva costruito il figlio di Efesto.

Mi siedo sulla panchina dove avevamo lavorato per giorni.

Ogni tanto gli schioccavo delle occhiate quando lui non mi vedeva.

Era sudato, i capelli come un nido grovigliato, le mani sporche.

Ma era comunque bellissimo.

Puntava gli occhi sul suo lavoro e non si staccava più finché non finiva.

Appoggio il cacciavite sul tavolo e lo fisso per quelli che sembrano interminabili minuti.

A un tratto sento un rumore frusciante, come se il vento ai fosse fatto più forte, muovendo le foglie tutte assieme.

Una figura vagamente umana si muoveva sull'acqua.

Visite.

Corro sulla spiaggia quando lui arriva.

Capelli sale e pepe,  curati.

Indossava un completo blu, scarpe di un bianco immacolato, solo con delle piccole candide ali ai lati.

- Ermes - dico con un filo di voce.

Lui sfoggia un sorriso.

- Calipso mia cara, che ne dici di una chiaccherata?-

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